“A Roma ci fanno saltare in un quarto d’ora: qui c’è la mafia”, l’intercettazione dell’esponente della camorra. Corrotti un commissario e un brigadiere
Politici corrotti, ma anche un Commissario di polizia e un brigadiere dei carabinieri (che risultano solo indagati) pronti a dare loro informazioni. Nel sodalizio mafioso che aveva trovato a Roma la sua sede ideale ci si poteva trovare di tutto. Anche un ex calciatore, Giorgio Bresciani. Gli affari erano concentrati non solo nella Capitale, ma anche a Pomezia. Era lì che vivevano molti dei personaggi che ieri sono finiti nella rete della DIA, come Pasquale Lombardi, noto per essere già stato arrestato sia per estorsione che nel corso del processo ai Fragalà, inizialmente riconosciuti come clan mafioso e poi “derubricati” in appello, quando il giudice aveva dichiarato che i fatti a loro ascritti non erano di mafia.
L’operazione di ieri ha portato 18 arresti e il sequestro di 131 milioni di euro. 2 i filoni di indagine, il primo per riciclaggio, reimpiego e autoriciclaggio di quantitativi rilevanti di denaro provenienti da membri dell’associazione di stampo camorristico dei D’Amico/Mazzarella, il secondo per riciclaggio di denaro attraverso società operative nel settore degli idrocarburi.
La grande criminalità
Ma i nomi più importanti sono quelli dei figli dei boss, da Antonio Nicoletti, erede dello storico cassiere della Banda della Magliana, a Vincenzo Senese, figlio di Michele detto “o pazz”. Poi c’è Roberto Macori. Pur non avendo parentele di sangue, è cresciuto sotto la protezione e gli insegnamenti di Massimo Carminati e già questo potrebbe bastare a renderlo un figlio putativo.
Le mafie
“All’inizio le indagini hanno centrato il focus sull’esistenza di una complessa rete relazionale gravitante intorno alla famiglia Gangemi. Da lì sono partite le attività tecniche che hanno disvelato e consentito di ricostruire le cointeressenze tra la famiglia Gangemi ed i fratelli Nicoletti; poi tra questi e Pasquale Lombardi; da qui la gestione “operativa” sul territorio. È emersa la presenza stabile e determinante dei principali clan di camorra napoletana, come i D’Amico/Mazzarella: membri del clan, avvalendosi di figure quali Salvatore Pezzella e Daniele Muscariello, hanno utilizzato attività imprenditoriali lecite per riciclare i proventi delle attività camorristiche”, si legge nell’ordinanza che ha portato ai 18 arresti di ieri mattina.
324 pagine che descrivono come le mafie fossero riuscite a introdursi nel territorio attraverso l’area economico finanziaria, con una complessa struttura organizzata “Le indagini, poi, hanno consentito di far emergere convergenze anche di altre strutture mafiose come il clan dei Casalesi e le cosche di ‘ndrangheta Morabito, Mancuso e Piromalli”, spiega la DIA .
“Qua ci fanno saltare in un quarto d’ora: qua ci sta la mafia’
E per spiegare come funzionano le cose a Roma ci pensa Salvatore Pezzella, in una conversazione che viene intercettata il 10 ottobre del 2018, nel corso nella quale spiega al nuovo reggente del clan D’Amico/Mazzarella le modalità operative:
PEZZELLA: ‘O Pirata sa contare le botte (nel senso che è capace di fare pressione e imporsi con violenza)… è freddo… sa fare tutte le cose… tanto di cappello… cioè Totore ‘O Pirata …
MATO P: … quindi un brand … (fonetico)… è stato
PEZZELLA: (ride) si
M P: è proprio il caso di dire … sei l’uomo guerra.
PEZZELLA: se racconti a qualcuno quella cosa là … io è un piacere da pazzi … però … dobbiamo distruggere o dobbiamo creare?
L: io sono costruttivo … non sono …
PEZZELLA: o ci dobbiamo mettere a fare casino e ci dobbiamo andare a mettere in bocca … perché qua (Roma)… qua siamo in una Capitale… mica è Napoli… qua girano politici, vescovi… questo, quello e quell’altro ancora… noi dobbiamo stare calmi, lo sai perché? Perché qua (ndr, se vogliono) ci alzano da terra (ndr: ci fanno saltare) in un quarto d’ora…
L: qui ci sta la Mafia …
PEZZELLA: qua ci sta la Mafia … bravo … “
Le indagini
Le indagini, condotte dalla Direzione Investigativa Antimafia di Roma (DIA), hanno consentito di raccogliere una imponente quantità di materiale, contenuta in 51 faldoni, la valutazione della quale ha portato a delineare l’esistenza sul territorio romano di una organizzazione criminale promossa e organizzata appunto da Antonio Nicoletti, figlio di Enrico (noto “cassiere” appartenente alla banda della Magliana) e da Pasquale Lombardi, quest’ultimo che esercita la sua influenza criminale prevalentemente a Pomezia.
Ti ferisco per non farti ammazzare
A raccontare questa storia è un collaboratore di giustizia, parlando di uno degli arrestati, Andrea Salsiccia. L’uomo è oggetto di una gambizzazione sotto casa, a Pomezia. A sparargli un suo amico, Daniele Muscariello, anche lui arrestato ieri. Ma lo fa, come riferisce agli inquirenti il collaboratore di giustizia, per salvargli la vita.
“SALSICCIA aveva perso dei soldi perché alcune società erano state bloccate ed aveva molti debiti. Daniele mi ha confidato di avere sparato lui alle gambe a SALSICCIA. Daniele mi ha detto che molte persone volevano vendicarsi con SALSICCIA per i debiti e che per questo Daniele che era suo amico, decise di sparargli per evitare che venisse ucciso. Mi disse che gli citofonò, lo fece scendere e gli sparò…
In quel periodo Daniele aveva un borsone di armi cal. 38,9 X 21, mitra e altro. Le armi erano a Roma per quanto di necessità e quando servivano si diceva a Daniele di andare a prendere le pizze“.
A Roma ci si siede con le guardie
Che a Roma ci sia tutto un altro modo di “lavorare”, per la mafia, è chiaro. Se infatti a Napoli e al sud in generale si parla con le forze dell’ordine si diventa “infami”, ecco che nella Capitale le cose cambiano, Lo spiega, in un’intercettazione, uno degli indagati.
” … ma io ti dico una cosa… A Roma se tu parli con le guardie è proprio la politica. Allora per esempio se qua ti siedi con una guardia sei infame … là se ti siedi con una guardia sei buono. Perché là è politica, perché Roma è politica … allora là io ho visto gente che va seduta con le guardie là”.
E poi ancora: “il generale e l’onorevole…perché la politica là è la mafia”. “Là se vai a Roma politici onorevoli tutti corrotti“. E allora ci si siede al tavolo con le guardie, ovvero si scende anche a patti con loro. Trovando chi possa aiutarli, come nel caso di un commissario di Polizia, Pasquale T., adesso in quiescenza, ma all’epoca dei fatti in servizio presso la Questura di Roma con l’incarico di responsabile dell’ufficio denunce, oppure il brigadiere capo Antonio M., anche lui in quiescenza, ma all’epoca in servizio in servizio al nucleo investigativo di Frascati.
Il poliziotto e il carabiniere corrotti
Per quanto riguarda il commissario, sono Muscariello e un altro indagato che vanno direttamente da lui, nel suo ufficio, per chiedere di consultare il sistema informatico della Questura “su un nostro amico… un sequestro di soldi”.
E il commissario, andando contro ai doveri d’ufficio, rivela che c’è “un’indagine riservata in atto, attenti anche ai telefoni (…) Stai inguaiato figlio mio però eh… L’indagine si divide in due tronconi: una ce l’ha la Guardia di Finanza e l’altra ce l’hanno dato a noi alla Squadra Mobile qua. Voi siete super monitorati ragazzi“. Il commissario si offre pure di dare un aiuto “coinvolgendo colleghi, ai quali è necessario dare un compenso”. Dalle intercettazioni si sente dire il commissario: “Mi dovete dire che c… volete fare. Mi devo muovere a certi livelli, ve lo dico col cuore, cioè questo non è che, i miracoli li fa, ma li deve fare anche dietro compenso. Hai capito? Venti persone, mandati di cattura, la mala romana, quando c… ti fanno uscire più?”
Gli vengono quindi offerti 7-8 mila euro come “cifra orientativa”. E il commissario accetta, chiedendo la metà come anticipo, che prenderà il 12 giugno 2018, giorno in cui Muscariello torna in Questura per pagarlo.
Una “mano” al clan la darebbe anche il brigadiere capo Antonio M.: lui avrebbe interrogato la banca dati SDI per ottenere l’indirizzo dei fratelli Celani, “al fine di consentire a Nicoletti di organizzare un’azione punitiva nei loro confronti”. Il carabiniere, in cambio, avrebbe chiesto ad Antonio Nicoletti “un atto di forza per recuperare una somma di denaro”. Il debitore era un ristoratore di Roma e per il carabiniere si potevano anche usare le maniere forti. “Vagli a fare la prepotenza, sennò dategli fuoco al locale (…) Io c’ho un albanese ce lo mando. Gli faccio dà fuoco”. E detto da un carabiniere non è poco.