D’Amato ci prova, ma Zingaretti ha smesso di proteggerlo
Un saluto a Nicola Zingaretti che se ne va col diritto di dire tutte le bugie che ci ha propinato e una domanda: ma che ci vuol fare la sinistra con il candidato minoritario Alessio D’Amato?
La regione Lazio è sistema di una certa complessità e non basta una buona dose di propaganda spicciola per assettarsi sulla seggiola più importante. Soprattutto quando si ha un carattere che non sempre può essere gradito.
D’Amato senza Zingaretti
Dunque, Zingaretti e poi D’Amato. Il primo dei due ci ha saputo fare, un’anguilla (o una saponetta, così lo battezzarono i dem), ha comunque governato dieci anni. Se non hai la corazza, non reggi. Ha avuto i suoi santi protettori ed è inutile prendersela ora con lui. Il competitore prossimo venturo non sarà Zingaretti, che i voti ha dimostrato di saperli prendere ed è inutile sfidarlo ancora a mettersi di traverso.
D’Amato, invece, l’ultima volta che si è candidato alle elezioni è stato nel 2010, racimolando appena 6000 voti scarsi. Ma non fu eletto.
Lo stipendio c’era…
Poco male, Nicola lo sistemò tre anni dopo alla cabina di regia per la sanità. Stipendio buono e senza dover attendere l’occasione successiva. Poi, sempre senza un voto, diventò assessore alla sanità.
Nel frattempo D’Amato si è dedicato a denunciare tutti – o quasi – i suoi nemici, rischiando una serie di cause per calunnia. Nel Pd autorevoli dirigenti lo hanno definito denunciatore seriale. Peccato però che alla fine l’unico condannato, sia pure in materia contabile, sia stato proprio lui: la Corte dei Conti vuole che restituisca qualche centinaio di migliaia di euro alla regione Lazio. E la vuole governare…
Avrà i voti di Calenda, non quelli dei Cinque stelle, pare di capire. E anche se riuscisse il miracolo del cosiddetto campo largo – tutto è possibile in politica – con quel tratto di arroganza tutto suo difficilmente diventerebbe presidente della regione. Diciamo che sta abbastanza sulle palle a molti. E Zingaretti non pare abbia voglia di proteggerlo ancora, pare.