Blitz della Dia a Roma, in manette i figli dei boss della Magliana Nicoletti e Senese

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Di padre in figlio. Gli affari criminali scoperti dalla Dia che hanno portato all’arresto di 18 persone vedono un legame a doppio nodo con la Banda della Magliana: in manette, tra gli altri, sono finiti anche il figlio di Michele Senese “o pazzo” ed Enrico Nicoletti, il cassiere della bandaccia.

Sodalizio criminale

Avevano messo in piedi un sodalizio criminale che serviva a riciclare i soldi della malavita organizzata, in particolare quelli della camorra. Un giro di affari che ha portato al sequestro di 3 società cinematografiche, aziende legate agli idrocarburi e 131 milioni di euro tra beni mobili e immobili. “Un’operazione epocale – la definisce la presidente della Commissione Antimafia Chiara Colosimo – Un blitz di portata storica che dimostra la capillarità di tutte le associazioni mafiose sul nostro territorio”.

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Di padre in figlio

Come detto ci sono anche anche i figli dell’ex storico componente della Banda della Magliana Enrico Nicoletti e del boss Michele Senese, Antonio Nicoletti e Vincenzo Senese, tra gli arrestati nella maxi operazione della Direzione Investigativa Antimafia, coordinata dalla Dda di Roma, che ha portato a 18 misure, 16 in carcere e due agli arresti domiciliari, e a sequestri per oltre 131 milioni di euro. Le accuse contestate, a vario titolo e a seconda delle posizioni, sono di associazione a delinquere con l’aggravante mafiosa, finalizzata a commettere reati di estorsione, usura, armi, fittizia intestazione di beni, riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego in attività economiche di proventi illeciti, aggravati dalla finalità di aver agevolato i clan di camorra Mazzarella-D’Amico, delle cosche della ‘ndrangheta Mancuso e Mazzaferro e del clan Senese.

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Il riciclaggio del denaro

Attraverso una strategia di sommersione riciclavano ingenti profitti, infiltrando progressivamente attività imprenditoriali in apparenza legali in molteplici campi come la cinematografia, l’edilizia, la logistica, il commercio di auto e di idrocarburi. Sono state costituite così numerose società “fittizie” per emettere false fatturazioni grazie al supporto fornito, tra gli altri, da imprenditori e da liberi professionisti. Venivano riciclati i proventi del malaffare attraverso le società cinematografiche per realizzare film e produzioni che, una volta vendute, fornivano denaro pulito e quindi fuori dal rischio sequestro.

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Società fantasma

Le indagini hanno fatto emergere gravi indizi sull’esistenza di una struttura organizzata che attraverso numerose società cartiere, finanziate dai clan campani e calabresi, avrebbe acquisito il controllo di depositi fiscali di idrocarburi, funzionali alla realizzazione delle attività di riciclaggio. Insieme ai reati di natura economico-finanziaria, circostanziati anche dalle attività di accertamento fiscale delegate al Nucleo Pef della Guardia di Finanza di Roma, i componenti delle due organizzazioni sono risultati anche dediti alla commissione di una serie di delitti in qualche modo strumentali ai primi (delitti di estorsione e usura) tanto per regolare partite di dare e avere tra loro o con terzi quanto per legare a sé gli imprenditori indispensabili per alimentare l’illecito profitto.

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