Casa degli orrori, le vittime sulla condanna di Maricetta Tirrito: “Aspettavamo una sentenza più dura” (VIDEO)

Maricetta Tirrito - intervista a Gigliola Iannuzzi

“Era immaginabile che l’ipotesi dell’omicidio con dolo eventuale potesse essere messa in discussione da parte della Corte d’Assise. Prima di fare commenti, vorremmo capire. E per capire, dovremo aspettare le motivazioni. Certamente, quando il pubblico ministero chiede 27 anni e poi ne vengono comminati 8, la differenza è tanta: ma per comprenderla occorre leggere le motivazioni”. Per avere un parere sulla sentenza emessa ieri nei confronti di Maricetta Tirrito da parte dei parenti di Luigi Bonomo bisogna quindi aspettare 90 giorni, il tempo previsto per rendere note le motivazioni da parte del giudice. A farlo sapere l’avvocato Luca Fiore di Ivrea, che ha rappresentato la famiglia di Luigi Bonomo, l’uomo di Anzio morto in circostanze sospette.

A rimanere delusa della sentenza è Gigliola Iannuzzi, una delle anziane ospiti della cohousing di via Isernia, ad Ardea, ormai da tutti conosciuta come “casa degli orrori“. Per lei 8 anni non basteranno a dimenticare la sofferenza vissuta all’interno della villetta, né la morte di sua sorella. “Sono ricordi che mi porterò dietro tutta la vita. A volte mi sveglio all’improvviso, durante la notte, credendo ancora di trovarmi lì. Per fortuna poi mi rendo conto che si tratta di un incubo. Ora sono rinata, ma certe esperienze non si possono dimenticare mai”.

Il racconto di Gigliola e Daniela

E proprio Gigliola, salvata in extremis il 18 gennaio 2023 grazie al blitz interforze e portata in ospedale, al S. Anna di Pomezia, per diversi mesi, racconta cosa ha provato al processo, quando ha sentito il giudice pronunciare la sentenza. Anche Daniela, che ha vissuto nella cohousing insieme a sua figlia 16enne, parla di quello che le parole del giudice hanno significato per lei. E di come ha vissuto, insieme alla Giulia adolescente e a un cagnolino, in un’abitazione dove doveva condividere gli spazi con 15 anziani perlopiù non autosufficienti, molti dei quali necessitavano di pannoloni e di aiuto per i bisogni più elementari.

“Mi sarei aspettata una condanna più dura, dopo tutto quello che ho passato”, ha detto Gigliola. Ma per lei la decisione del giudice va accettata, perché riconosce la colpevolezza della Tirrito riguardo le accuse fatte. Tranne quella di omicidio con dolo. “Per me la cosa importante è essere uscita da quell’inferno. Viva. Cosa che purtroppo non è successa a qualcun altro”.

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Gigliola: “Vivevo in un inferno: ringrazio chi mi ha salvata”

Gigliola, rispetto a due anni fa, è un’altra persona: il viso disteso, lo sguardo attento (prima era praticamente cieca, ha dovuto essere operata agli occhi), ha anche messo su qualche chilo. Ma quando parla del lungo periodo passato nelle cohousing gestite dalla Tirrito, i suoi occhi si oscurano. Pensa ancora al cibo che le mancava, così come al sapone che scarseggiava. Ma dal suo racconto emerge di peggio. “Usavamo i tovaglioli del pranzo anche in bagno, perché mancava la carta igienica. Per non dire in che condizioni era il bagno: con le deiezioni dei pazienti ovunque”.

Ma la cosa peggiore, per Gigliola, era aver perso la voglia di vivere, stando in quella casa. “Ho tanto sofferto. Ora, finalmente, è finito un incubo, ma ci vorrà molto tempo per poter superare il trauma. Più degli 8 anni dati dal Giudice a Maricetta Tirrito“.

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Daniela: “Venivamo minacciate di ricorrere al codice rosso”

Daniela abitava nella villetta di via Isernia con la figlia che, all’epoca, non aveva neanche 16 anni, e il loro cagnolino. Daniela, che ora ha 55 anni abitava quindi nella cohousing con circa 15 anziani, alcuni dei quali sofferenti di demenza senile, in un ambiente per nulla adatto né a lei né tantomeno a una ragazza adolescente. “Non potevo uscire da lì, solo per andare in ospedale, dove sono stata ricoverata per parecchio tempo, perché ero malata”, racconta. La figlia, intanto, era rimasta nella villetta con gli anziani e il cane.

“La nostra vita lì, soprattutto quella di mia figlia, non era normale. Era sicuramente difficile”. Quanto può aver inciso sulla psiche e sulla crescita di sua figlia, ma anche su lei, il periodo passato con quegli anziani malati, in un ambiente che, da quanto riscontrato dagli inquirenti, non era idoneo a livello igienico? “Sicuramente molto, ma non ci lasciava uscire. Ci diceva che ci avrebbe messo il codice rosso, a causa di una denuncia che io avevo fatto in precedenza”. Daniela era sicura che per Maricetta Tirrito la condanna non sarebbe stata pesante. “Me lo sentivo che non ci sarebbe stata una sentenza severa”.

La sua voce è ancora incrinata. Le manca sua figlia. Dopo il blitz, Daniela è stata portata, come Gigliola, alla Domus Santa Rita, a Tor San Lorenzo, dove entrambe hanno potuto conoscere tutta un’altra realtà: hanno trovato, sia nei titolari che nel personale, una famiglia. Ma la ragazza, non potendo stare in una struttura per anziani, è stata trasferita in un’altra struttura, dove si trovano giovani della sua età. Anche il cane si trova altrove. “Mi mancano entrambi. Mia figlia la sento tutti i giorni, ma non è la stessa cosa“.

Daniela e Gigliola