“C’è sempre un vento che mi porta via”. 20 anni fa l’addio a Piero Scanziani, l’uomo che non voleva morire

scanziani (2)

Contenuti dell'articolo

“C’è sempre un vento che mi porta via”… Lo scriveva spesso Piero Scanziani nei suoi libri. Scanziani, giornalista giramondo, inviato di guerra e di pace, ha scritto una ventina di libri, che non hanno avuto nessuna notorietà in Italia. Scanziani ha girato il mondo tutta la vita in cerca di qualcosa, nei suoi libri metteva tutto se stesso, per tutta la sua esistenza ha combattuto con gravi malattie, amava i cani, tanto da aver scritto una bella enciclopedia del cane per la De Agostini: è morto a 95 anni, quasi sconosciuto, in ristrettezze economiche, col destino dei grandi, quello di essere trascurato e negletto soprattutto in patria. Ma ci ha dato tanto: i suoi libri bastano per cambiare una vita. Prima o dopo sarà certamente riscoperto, perché è stato uno dei più grandi scrittori in lingua italiana del Novecento.

Scanziani morì all’età di 95 anni

Piero Scanziani è stato uno scrittore svizzero-italiano, scomparso 20 anni fa all’età di 95 anni. Praticamente sconosciuto al grande pubblico, non ha mai ottenuto il successo che meritava, perché è sempre stato al di fuori dei circuiti letterari e intellettuali che fanno e disfano le fortune degli autori. Un po’ come Julius Evola, i cui libri sono sempre stati caratterizzati dal silenzio tombale della critica e dei media. Ma il paragone si ferma qui, perché se l’ostracismo verso Evola era dovuto alle sue posizioni politiche, per Scanziani questo discrimine non ci sarebbe dovuto essere, perché non fu mai né fascista né nazista. E allora? Perché uno scrittore della sua caratura è caduto nel dimenticatoio? In vita non ebbe quel successo che meritava, malgrado i suoi libri abbiano venduto decine di migliaia di copie in tutto il mondo.

La carriera del grande scrittore svizzero

La risposta forse la dà lo stesso Scanziani in uno dei suoi libri: “La vita? La vita ride dei sì umani, ride dei no; ti può portare alle stelle o precipitare nel fango secondo il suo capriccio”. Ed è proprio così: lo stesso Scanziani racconta di aver visto nella sua lunga esistenza uomini capaci, colti, onesti, lavorare duramente tutta la vita senza mai guadagnare abbastanza, così come aver visto uomini modesti, meschini, ignoranti, arricchirsi in maniera smisurata. E Scanziani, certamente, è della prima categoria: nato da una buona famiglia italiana a Chiasso, ebbe un’infanzia difficilissima dopo la separazione dei genitori, trascorsa tra Chiasso, Losanna e Milano. Abbandonò gli studi classici per lavorare come giornalista nella Gazzetta ticinese, e poi si trasferì a Roma dove trovò il filosofo Massimo Scaligero, che gli rimarrà amico tutta la vita.

Scanziani fu afflitto sempre dalla precarietà economica

Visse tra l’Italia e la Svizzera per tutti il periodo del fascismo, sempre in condizioni di estrema precarietà economica. Tra l’altro, si era sposato prestissimo e aveva avuto tre bambini. Viveva in via di Villa Torlonia, a Roma, in una casetta con la sua famiglia dove lavorava duramente la notte per scrivere pezzi e romanzi con cui tirare avanti. Oltre alla letteratura aveva due grandi passioni: il pugilato, che lo condusse a scrivere per riviste di settore, e l’allevamento dei cani: scrisse una grande enciclopedia del cane, per la De Agostini, tuttora attualissima, e trascorse dopo la guerra molti anni nello zoo di Roma, dove ricostituì la razza del mastino napoletano, andata perduta per le vicende del conflitto. Questa sua singolare eperienza è raccontata mirabilmente nel suo Viaggio intorno al molosso.

La ricerca del sistema per non morire

Ma la sua grande stella polare, per tutta la vita, fu la ricerca del sistema per non morire. Proprio così, Scanziani era convinto che si potesse in qualche modo non morire, e per questo andò in giro in tutto il mondo alla ricerca di sapienti, di santi, di filosofi, per trovare quella ricetta e non sappiamo se la trovò mai. Questa sua ricerca è raccontata in molti suoi libri, ma principalmente in Entronauti, neologismo coniato dallo stesso Scanziani, ossia coloro che viaggiano allinterno di sé stessi. Così nei suoi magnifici libri, troviamo le descrizioni dei cruciali incontri con i sufi persiani, con i grandi anacoreti dell’Athos, con Aurobindo, con il maestro giapponese Uyeshiba, che conobbe quando quest’ultimo era molto anziano. E da ognuno prese qualcosa, un patrimonio spirituale altissimo, sistematicamente descritto nelle sue opere.

Scanziani scrisse poco più di venti libri

Opere che furono poco più di venti, quasi tutte pubblicate dalle Edizioni Elvetica, ma che certamente hanno lasciato un segno nella letteratura mondiale. Scanziani infatti fu due volte candidato per il Premio Nobel dalla commissione internazionale presieduta dal Mircea Eliade e nel 1997 vinse il Premio Schiller per l’insieme delle sue opere. Ma non diventò mai ricco né famoso, perché davvero a lui non importava. Alla fine della sua vita si era ritirato a vivere ai piedi del Monte Generoso, in Svizzera, in una casetta circondato dai suoi ricordi di una vita intensa e sempre con un cane al fianco, dove lo andai a cercare per conoscerlo. La sua seconda moglie, la scrittrice Gaia Grimani, scrisse un libro a lui dedicato, Piero Scanziani La vita come frontiera.

Così rispose alle domande dell’uomo

Qualche anno prima, nel 1990, era uscito un altra opera su di lui, Piero Scanziani testimone d’Europa, una critica collettiva di venti autori tra cui Massimo Scaligero, Geno Pampaloni, Romano Battaglia, Vittorio Vettori, Arturo Tofanelli e altri. Il suo stile fu certo rivoluzionario, perché seppe descrivere con parole semplici e poetiche concetti difficilissimi, cercando di dare risposte alle domande che l’uomo che si è posto da quando è comparso sulla Terra. L’ultima volta che lo intervistai, molti anni fa, gli chiesi se Dio ci fosse. Lui mi rispose: “Certo che c’è, basta alzare il capo…”.