Centri commerciali riaperti nel weekend. Tutti contenti, ma la crisi resta
I centri commerciali potranno restare aperti anche nel fine settimana. È questa una delle novità più importanti e attese varate nell’ultimo Consiglio dei ministri. Che consentirà a centinaia di operatori di tenere alzate le saracinesche proprio nei giorni di maggiore afflusso della clientela. Con la speranza di recuperare almeno in parte, le perdite gravissime accumulate in questo anno terribile di pandemia. I commercianti hanno accolto molto bene la novità, ma allo stesso tempo non si fanno grandi illusioni. Perché per risalire la china la strada è ancora lunga. E serviranno altri aiuti, oltre a quelli messi in campo nell’ultimo decreto sostegni. Che la stessa Cgia di Mestre ha giudicato largamente insufficienti. Così i commenti raccolti dalla giornalista Lilli Garrone sul corriere.it sono tutti agrodolci. Tra speranza di ripartire per davvero, e difficoltà economiche e di liquidità che rimangono le stesse da diversi mesi.
“Da Maximo alla Laurentina – spiega Stefano Caporicci di Nova, società del gruppo Euronics – da quando abbiamo aperto il 29 novembre non abbiamo mai lavorato nei week end. L’elettronica è un bene di necessità. Ma la frequentazione dei centri stimola la voglia di comprare. Se uno viene per un vestito può uscire anche con un phon”. Anche se per Antonio Pellone, tre punti vendita a San Cesareo di intimo e abbigliamento sportivo, “in questi mesi abbiamo avuto un calo del fatturato del 50%”. Del quale secondo il commerciante, hanno approfittato molto gli ambulanti su strada. Regolari o meno.
I centri commerciali lamentano un calo del 50 per cento degli ingressi
Gli operatori dei centri commerciali hanno perso in media il 50% del fatturato
La crisi resta e morde forte. Anche per gli operatori dei centri commerciali. Ma certo poter riaprire dal prossimo fine settimana accende un raggio di sole dopo un anno terribile. Anche se le perdite subite, circa il 50% del fatturato nell’ultimo anno, non sono facilmente recuperabili. Per Antonio Taddei, una catena di negozi di abbigliamento, la “situazione è ormai compromessa. Riaprire può essere una boccata di ossigeno, ma il governo deve mettere in campo altre misure. Permetterci di riaprire sembra quasi un regalo caduto dal cielo, ma nessuna azienda si salva facilmente da un periodo del genere. In magazzino abbiamo grossi investimenti, capitali che sono fermi”. Per Flavio Zaffira, direttore dei negozi di abbigliamento Pellizzari (Porta di Roma e Maximo), la possibilità di riaprire nei fine settimana è “un’ottima notizia. Che ci permetterà di rimetterci a lavorare con prospettive differenti, anche pensando ad assunzioni”. E il direttore di Maximo, Alessandro Allegri, ricorda che “il sabato e la domenica rappresentano il 60% delle presenze, circa 100 mila”. E nella gioia per la riapertura promette che “garantirà a tutti i visitatori la massima sicurezza, perché il centro è dotato di dispositivi all’avanguardia”.
I 32 miliardi del decreto sostegni non bastano
Da parte sua, il governo Draghi ha messo in campo altri 32 miliardi nell’ultimo decreto sostegni. La cui approvazione alla Camera dei deputati con il ricorso al voto di fiducia è prevista nella tarda serata di oggi. Ma al testo non sono mancate le critiche, anche da parte della maggioranza. Che aveva presentato centinaia di emendamenti. Perché alcune misure molto utili, come il credito d’imposta da utilizzare per gli affitti dei locali commerciali, per ora sono sparite dal testo. Mentre si aumenta di un altro miliardo il tesoretto destinato al reddito di cittadinanza. Qualche novità positiva però il decreto la contiene. Come la abolizione dei famigerati codici Ateco per individuare le imprese che avranno diritto al contributo a fondo perduto. E la estensione degli aiuti anche alle partite Iva e ai liberi professionisti. Ma quanto si potrà ottenere in pratica per tirare una boccata d’ossigeno? L’esempio è presto fatto. Un’azienda che nel 2019 ha fatturato 240 milioni, e nel 2020 ha perso il 50%, pari a 10 mila euro al mese, avrà diritto a un ‘una tantum’ di 5 mila euro. Utile, per carità. Ma per ripartire davvero, ci vuole ben altro.