Condannato il marocchino che picchiava moglie e figlia: per loro nessuna manifestazione
Abbiamo un inferno in Italia ma sembra che nessuno se ne renda conto. Anzi, peggio: certe realtà non vengono amplificate dalla grande stampa la quale, come è noto, va a mode che mutano ogni giorno. Il dramma sotterraneo che abbiamo da anni è quello relativo alle comunità di immigrati musulmani che trattano le donne secondo la Shaaria. Ossia picchiate se tentano di integrarsi nella nazione che le ospita, costrette a sposarsi con matrimoni combinati e così via. Non di rado, poi, questa cultura finisce in tragedia. E queste tragedie vengono sistematicamente silenziate dai giornaloni italiani, perché guai a toccare un immigrato, guai a toccare altre “culture”. Un esempio è quello che riguarda una triste vicenda nel 2020, di cui ovviamente non si parla più.
“Vivi troppo all’occidentale”, e giù botte
“Vivi troppo all’occidentale”. Con questa scusa un cinquantenne marocchino, che prendeva a botte moglie e figlia perchè si truccavano, è stato ieri condannato dal Tribunale di Firenze a 8 anni di reclusione. Il Tribunale, in composizione collegiale, presieduto dal giudice Elisabetta Pagliai. ha anche stabilito una provvisionale di 25mila euro per la moglie (oggi separata dal marito) e 10mila euro per ognuno dei 4 figli, minorenni anche all’epoca degli episodi contestati, tutti assistiti dall’avvocato Samuele Zucchini. L’uomo, difeso dall’avvocato Andrea Benigni, è stato però assolto dall’accusa di tentato omicidio. La Procura aveva chiesto 18 anni di reclusione. E spesso è difficile indagare in questi ambienti ristretti e chiusi, ma l’hanno fatto.
La storia del marocchino e della sua famiglia sottomessa
Nel novembre del 2020, al culmine dell’ennesimo atto di violenza nei confronti delle due donne, il marocchino venne arrestato. La moglie aveva chiesto il divorzio, ma per problemi economici legati anche al sostentamento dei quattro figli minorenni era stata costretta a restare in casa, seppur in una stanza separata, continuando a subire i maltrattamenti. Le indagini, coordinate dal pubblico ministero Beatrice Giunti, portarono a una lunga serie di episodi di maltrattamenti, tutti contestati all’imputato durante il processo. Tutte condotte quasi sempre dettate dalla volontà di impedire alla moglie ealla figlia di “vivere all’occidentale”. Pestaggi in cui in almeno un’occasione il marocchino avrebbe usato anche un manico di scopa contro la ragazza.
Vicenda ignorata dai giornali e dalla politica
Il processo, ignorato dai giornali e dalla politica, ha ricostruito anni e anni di soprusi consumati nell’abitazione nella zona fiorentina di Careggi dove viveva la famiglia. Scoperto poi che anche il matrimonio con la moglie, di quasi dieci anni più giovane, era stato combinato dalle rispettive famiglie. E così la convivenza era diventata presto un incubo. Durante le gravidanze, la donna non era autorizzata neanche a sottoporsi ai controlli di routine. Men che meno a rendersi autonoma con un lavoro. Un incubo non soltanto per la moglie, ma anche per la figlia più grande, colpevole, agli occhi del marocchino integralista, di voler vivere “all’occidentale”.
Un matrimonio trasformatosi presto in un incubo
La ragazza, all’epoca diciassettenne, ha raccontato prima alla polizia, poi nell’incidente probatorio, che è stato parte integrante del processo appena concluso, di essere stata picchiata perché si sentiva italiana, aveva amici maschi, si truccava. Violenze verbali che erano iniziate anni prima, come quando il padre non tollerava che lei andasse a festeggiare il compleanno da un’amica anziché fare le faccende in casa. Al culmine dell’ira, le ruppe il manico di una scopa sulla schiena. Ma ogni volta, per paura che la furia del padre s’abbattesse di nuovo, non era libera neanche di farsi medicare al pronto soccorso. Ma tutto questo non si deve sapere…