Da Anzio al Cile, l’incredibile la storia delle sorelle Mereu: dopo 46 anni ritrovano la loro madre biologica

Un’incredibile storia, lunga 46 anni, ancora tutta da scrivere, che collega Anzio con il Cile, attraversando oceani, continenti e chilometri di silenzio. È quello che è successo a Maria Beatrice e Adelia Rose Mereu, due bambine adottate “illegalmente” durante il regime di Augusto Pinochet. Una storia personale, ma che racconta il dolore collettivo di un’intera generazione: quella dei bambini scomparsi in Cile, che ha coinvolto decine di famiglie ignare in tutto il mondo.

Una vicenda che inizia a fine degli anni ’70, nel pieno della dittatura militare cilena, e che oggi torna alla luce grazie alla tenacia di due sorelle e a un semplice test del DNA. Un piccolo gesto che ha scardinato 46 anni di silenzio e menzogne.


Una vita normale, con un’ombra nel cuore
Beatrice Mereu oggi vive ad Anzio, ha 46 anni. Un’infanzia in Sardegna con la famiglia adottiva, poi un trasferimento a Milano, infine il ritorno sul litorale romano accanto a Paolo, il suo compagno. Ma dietro questa quotidianità – come riporta il quotidiano Il Tempo – si nascondeva un vuoto che non ha mai smesso di pesare.
«Sapevo che mancava qualcosa, ma non riuscivo a darle un nome», confessa Beatrice. Un’inquietudine che è cresciuta insieme a lei, alimentata dall’assenza di ricordi, fotografie, racconti. C’era solo un vecchio certificato di adozione e un dubbio sottile: quello di essere parte di qualcosa di più grande. Di una verità mai raccontata.

La verità arriva col DNA
Un giorno, quasi per caso, il nipote di Beatrice decide di fare un test genetico per curiosità. Il risultato è sconvolgente: c’è una corrispondenza del 35% con una donna cilena, Maria Soto Toro. E quella donna, in realtà, non è una semplice parente. È la madre biologica delle due gemelle.

«Mia sorella le ha scritto su Facebook. È stato come accendere una luce in un tunnel durato mezzo secolo», racconta Beatrice, emozionata. «Oggi ci sentiamo ogni giorno, tramite videochiamate. Abbiamo scoperto di avere anche altri due fratelli e una sorella. Non vediamo l’ora di incontrarli. Appena sarà possibile economicamente, partiremo per il Cile. Vogliamo riabbracciare nostra madre a Hualpén, dove vive ancora oggi».

I bambini scomparsi durante il regime di Pinochet
La storia di Beatrice e Adelia è emblematica di un fenomeno vasto e doloroso. Tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80, migliaia di neonati cileni furono sottratti alle loro famiglie durante la dittatura di Pinochet. Dichiarati morti alla nascita o semplicemente fatti sparire dagli ospedali, venivano poi affidati illegalmente a famiglie straniere. Molti di quei bambini sono cresciuti in Europa, portando nomi che non erano i loro e vivendo identità costruite su una bugia.

«Siamo state affidate senza che nostra madre sapesse nulla. Una separazione avvenuta in ospedale. All’epoca bastavano 500mila lire per comprare il silenzio e una nuova vita per noi», raccontano le sorelle. I nomi con cui erano state registrate alla nascita erano Maria Luisa e Valeska Janette. Nomi cancellati, sostituiti da un’identità fittizia.

L’abbraccio ritrovato e il diritto alla verità
Oggi le gemelle Mereu vivono la gioia del ritrovamento, ma anche il dolore per il tempo perduto. «Quando ho scoperto chi era mia madre, ho pianto per giorni. Avevo ritrovato la mia storia, ma avevo perso una vita intera», racconta Beatrice. Il ricongiungimento è un momento di grande emozione, ma anche un confronto con un passato negato, con una ferita che brucia ancora.

«Abbiamo finalmente una verità in più, e un’illusione in meno», dicono. Ma sanno che la loro vicenda è solo una delle tante. Oggi, molti altri “figli del silenzio” stanno ricostruendo le proprie origini grazie ai test genetici e alla forza di non voler più vivere nell’ombra.

Una ferita che non guarisce: chiedere giustizia
Il caso Mereu è parte di un puzzle complesso che la storia non può più ignorare. Trovare una madre, un padre, fratelli perduti è una gioia che lacera e guarisce allo stesso tempo. Ma il trauma della separazione, la violenza dell’inganno e il silenzio imposto restano. «Per 46 anni siamo state una voce inascoltata. Ora chiediamo verità e giustizia, per noi e per tutte le famiglie spezzate da quella tragedia».
