Dubbi sull’estraneità di Zuncheddu ma il legale dice: lui non era nell’ovile al momento della strage
Il processo di revisione “non ha condotto alla dimostrazione della certa ed indiscutibile estraneità di Beniamino Zuncheddu” alla strage di Sinnai (Cagliari) dell’8 gennaio del 1991 in cui furono uccisi tre pastori “ma ha semplicemente fatto emergere un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza”. E’ quanto scrivono i giudici della quarta sezione della Corte di Appello di Roma nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 26 gennaio l’ex allevatore di Burcei è stato assolto. Zuncheddu, proclamatosi sempre innocente, è tornato in libertà dopo 33 anni di carcere. “Zuncheddu fu condannato perché il teste oculare dichiarò di averlo riconosciuto come l’aggressore, nonché per aver fornito un alibi falso – si legge –.
La formula è insufficienza di prove
Tuttavia oggi assolto dai delitti a lui ascritti ai sensi del comma 2 dell’articolo 530 c.p.p. (insufficienza di prove, ndr.) e quindi non con assoluzione piena, perché all’esito dell’istruttoria residuano delle perplessità sulla sua effettiva estraneità all’eccidio, commesso verosimilmente da più di un soggetto, uno dei quali, diversamente da quanto opinato nell’istanza di revisione, non era un cecchino provetto, non riuscendo nell’intento omicidiario nemmeno dopo aver sparato due colpi a distanza ravvicinata in un luogo talmente stretto che ‘non occorreva prendere la mira’”.
Venuto meno il testimone oculare
Per i giudici di Roma, “è chiaro che una volta venuta meno la prova-cardine di un teste oculare che, sopravvissuto al massacro, asserisce di avere riconosciuto almeno uno degli aggressori, di fronte alla quale, giustamente, nel corso del procedimento del 1991, non si poteva che pervenire ad una sentenza di condanna, oggi la residua scorta indiziaria non può ritenersi sufficiente per pervenire alla conferma della condanna di Zuncheddu, oltre ogni ragionevole dubbio. Non v’è però prova piena della sua innocenza – si legge nelle motivazioni – e ciò perché egli fornì un alibi fallito, poi sostenuto da due testi pacificamente falsi”.
La troppa attenzione mediatica dannosa per i giudici
“La già esile speranza di poter pervenire a una ricostruzione veritiera ed attendibile dello svolgimento dei fatti dopo trent’anni – sottolineano i giudici – è stata gravemente pregiudicata dalla forte attenzione mediatica riservata a questa vicenda, tale per cui sono state divulgate disinvolte ricostruzioni dei fatti arricchite da discutibili commenti, giudizi personali, congetture, valutazioni unilaterali prive del dovuto contraddittorio (e quindi lacunose e parziali) che incisero sulla genuinità dei testi, che invece avrebbero forse potuto offrire qualche spiraglio di verità se fosse stato lasciato libero il campo alla memoria di ciascuno di essi, non influenzata da narrazioni preconfezionate”.
Il legale: “Non certa la sua estraneità? Onere delle prove spetta all’accusa…”
“La sentenza dà ragione alla richiesta di revisione nella valutazione della testimonianza di Luigi Pinna: il testimone chiave, che nel 1991 descritto come persona integerrima, di sani principi, che mai avrebbe mentito, in realtà descritto come una persona malleabile, pronto a compiacere il prossimo. Proprio ciò che sempre sosteniamo e che sostennero i difensori di Beniamino nel 1991: Pinna aveva accusato Beniamino per compiacere il poliziotto”, dice Mauro Trogu, difensore di Zuncheddu. “Un altro aspetto importante su cui ci viene data ragione è che l’assassino non agì da solo. Risultano condivisibili sia la denuncia che io feci nel 2019, chiedendo nuove indagini per accertare tutti i responsabili, sia le indagini della Procura di Cagliari alla ricerca di quei soggetti.
Certo è che Zuncheddu non era nell’ovile in quel momento
Indagini poi dirimenti perché è lì che si acquisirono le intercettazioni di comunicazioni più importanti – prosegue il difensore -. Un aspetto meno condivisibile è quello sulla valutazione dell’alibi. L’alibi serve a dimostrare che l’imputato fosse altrove nel momento in cui il fatto si commise se vi è qualche indizio che potesse essere sul luogo del delitto in quel momento. Ma in questo caso non vi è nessun elemento di prova, nessuno straccio di indizio che Beniamino fosse nell’ovile quando ci furono gli omicidi”.
“Dimenticata” la presunzione di innocenza?
“La parte più deludente della motivazione sono le conclusioni – sottolinea l’avvocato Trogu -. Infatti, nonostante tutto il castello di accuse contro Beniamino sia crollato, si dice ‘l’assoluzione non è piena perché non ha dimostrato la sua totale estraneità ai fatti’. Si tratta di un ragionamento che contrasta con la nostra Costituzione e con la nostra legge processuale. La Costituzione e la Corte Edu contemplano tra i diritti civili fondamentali quello della presunzione di innocenza: fino a che la mia responsabilità non è provata, io devo essere considerato innocente. È l’accusa a dover provare la mia colpevolezza, non io a dover provare la mia innocenza. Sembra di essere tornati indietro di 80 anni” conclude.