Ecatombe in corsia: medici e infermieri stesi dal coronavirus
“Sentiamo i medici, non facciamo da soli”: ed è sacrosanto in tempo di coronavirus. Ma allora perché negli ospedali c’è una specie di ecatombe in corsia dove sono proprio i sanitari a rimanerci stesi con contagi, infezioni, isolamenti?
A Roma sembra di stare al Nord per quello che succede nei nosocomi. Bollettini di guerra. Succede praticamente di tutto e stavolta non parliamo delle tristemente consuete violenze nei pronto soccorso. La questione è il morbo cinese e i danni che sta provocando persino in chi deve curare chi ne è colpito.
Coronavirus all’assalto di medici e infermieri
Stamane si contano a decine, tra medici e infermieri, i sanitari che hanno dovuto prendere la strada di casa per rispettare le regole dell’isolamento domiciliare.
E questo accade per l’avanzata del coronavirus in città e non solo. Arriva con i malati che se lo sono beccato e scatta il contagio in corsia. Domanda: ma non c’è una soluzione per evitare di infettare gli addetti ai lavori? C’è stata un’adeguata preparazione? Pare proprio di no.
E’ vero – e di questo va dato atto alla comunicazione che è stata attivata – che ovunque ci si raccomanda di rivolgersi ai medici di famiglia o ai numeri telefonici dedicati per non intasare i presidi ospedalieri. Ma di fronte a una malattia sconosciuta il primo posto dove corri è proprio lì. La psicosi c’è. E non sempre chi ti accoglie per curarti è pronto a ripararsi, evidentemente.
Sono diversi gli ospedali della città che ormai devono fare a meno di personale sanitario mandato a casa. Anzitutto Tor Vergata, dove c’è stata la Via Crucis del poliziotto di Spinaceto finito allo Spallanzani dopo ore trascorse in quel Policlinico.
Decine di colpiti nelle corsie d’ospedale
Al San Giovanni la situazione pare sia ancora più complessa. Lì è morta un’anziana signora e si racconta di un’anomalia: dai dati di degenza messi assieme, la donna, ricoverata dal 17 gennaio, potrebbe aver preso il virus in ospedale. Voci che devono essere confermate o smentite. Intanto, una trentina di operatori dei vari reparti dove è stata sottoposta a ricovero e cura la signora in questione sono stati tutti posti in sorveglianza domiciliare.
La stessa cosa accade al San Filippo Neri. Lì “la colpa” del contagio è attribuita ad un paziente che dal proprio reparto – dove era già ricoverato – si è precipitato al pronto soccorso. Il personale contagiato è stato cortesemente pregato di andarsi a curare a domicilio.
Al San Camillo è tornato dalla settimana bianca un chirurgo. La sciata se l’è fatta al nord e entrato in ospedale si è sentito male: e anche lì medici e infermieri sono stati costretti al ricovero casalingo.
Cose analoghe sono capitate anche in provincia. Ed è davvero complicato da comprendere – dopo quello che abbiamo visto in queste settimane nel nord Italia – che non si siano viste le più elementari forme di precauzione. “Il rischio di sguarnire le strutture” è elevato, hanno ammesso in regione. Ma fino a quando medici e infermieri saranno in grado di resistere all’assedio del coronavirus in corsia non è dato di sapere. E restano le crude statistiche di ogni giorno sul numero dei “positivi” e dei tamponi…