Fabio Palotti, sull’ ascensorista morto alla Farnesina prime risposte delle indagini

Prime risultanze delle indagini che fanno luce sulla morte di Fabio Palotti. Il giovane ascensorista, che perse la vita lo scorso 28 aprile. Mentre lavorava su un ascensore all’interno del palazzo della Farnesina. Una tragedia terribile, forse evitabile. Per questo sul registro degli indagati, è finito il datore di lavoro di Palotti. Amministratore unico della ditta per la quale l’operaio lavorava.

A suo carico, sarebbero ipotizzate gravi violazioni nella disciplina della sicurezza sul lavoro. A cominciare proprio dall’impiego del Palotti per quel tipo di lavori. Per il quale il ragazzo non avrebbe avuto la necessaria abilitazione professionale. Ricordiamo che l’incidente mortale, era avvenuto mentre Palotti lavorava sul tetto dell’ascensore. Ma secondo quanto riportato dalle consulenze tecniche disposte dalla Procura, non sarebbe stato disposto correttamente il blocco della cabina. Con l’apposito dispositivo che doveva essere messo sulla posizione di ispezione. Per questo probabilmente, la cabina si è mossa. Sbalzando dal tetto l’ascensorista, che è poi precipitato nella fossa perdendo la vita.

Fabio Palotti morto per schiacciamento. Ora la Procura indaga su come sia successo

Le indagini

Le indagini dei carabinieri della compagnia Trionfale, coadiuvati con la procura e la Asl Roma 2, hanno avuto inizio il 28 aprile. A seguito del rinvenimento nel vano ascensore, del cadavere di Fabio Palotti che aveva perso la vita a seguito di un intervento di manutenzione di un impianto ascensore installato negli uffici del palazzo.

Dettagliata la ricostruzione degli inquirenti. Che hanno chiarito come “il manutentore ometteva di inserire la leva di blocco dell’ascensore sulla posizione “ispezione”. Così l’ascensore si metteva in funzione mentre l’operaio si trovava sul tetto, rimanendo incastrato tra la cabina e la parete del vano corsa, prima di precipitare nella fossa”. Questo il primo risultato emerso.

I successivi sviluppi investigativi hanno permesso di acquisire altri “gravi indizi”. Come hanno sottolineato Carabinieri e procura. Circa la realizzazione di “reiterate condotte di negligenza, imperizia ed imprudenza, ad opera del datore di lavoro”. E consistite nell’adibire alle mansioni di manutentore di ascensori e montacarichi a Fabio Palotti, specializzato per il solo servizio di presidio tecnologico.

“Pur essendo privo dei requisiti tecnici/professionali e non adeguatamente formato e addestrato per la specifica attività di intervento e manutenzione cui di fatto era stato delegato”. Insomma, il 39enne non avrebbe dovuto fare quel tipo di lavoro.

Per la Procura non fu garantita la sicurezza sul lavoro

L’accusa avrebbe inoltre accertato anche la “mancata predisposizione, nell’ambito del documento di valutazione dei rischi della prescritta relazione. Afferente tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa. Con particolare riferimento alle fasi e alle procedure di intervento, di manutenzione e installazione degli elevatori e la mancata adozione di un idoneo piano operativo di sicurezza, in riferimento al singolo cantiere interessato”.

Elementi giudicati “gravi” secondo l’accusa. Inoltre ulteriori “gravi elementi indiziari”, sono stati acquisiti sulla circostanza che il dipendente “non era stato sottoposto alla prescritta sorveglianza sanitaria periodica. In quanto il pregresso certificato di idoneità specifico alla mansione era scaduto il 10 febbraio del 2020”, spiegano ancora gli inquirenti in una nota.

Una morte che si poteva evitare

In sintesi, secondo quanto accertato allo stato dalle indagini, Fabio Palotti avrebbe operato in “assenza di qualsiasi riferimento e consapevolezza dei rischi connessi all’attività lavorativa di ascensorista svolta alle dipendenze della ditta appaltatrice”. E dunque la morte rappresenta, secondo la ricostruzione del giudice delle indagini preliminari, la “concretizzazione del rischio che le norme cautelari violate miravano ad evitare”.

Il giudice per le indagini preliminari ha anche evidenziato il concreto ed attuale il “pericolo di reiterazione” da parte dell’indagato di delitti simili. In  il pericolo che si verifichino “ulteriori infortuni anche con esito mortale ai danni dei dipendenti della ditta nello svolgimento delle mansioni di ascensoristi. Tenuto conto delle plurime violazioni alla normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro”. Per questo e’stata disposta la interdizione per 6 mesi da compiti di direzione e coordinamento a carico dello stesso amministratore unico della ditta indagata.