Foibe, la testimonianza dell’esule istriana: “A 8 anni strappata alla mia casa. Portai solo la mia bambola”

film sulle foibe (2)
Contenuti dell'articolo

Una fuga nel cuore della notte, stipata in piedi nel cassone di un camion insieme a una trentina di persone, quasi tutte italiane, da Abbazia (Opatia in istriano) al confine italiano. Una fuga che ha salvato la vita a Loriana Bossa e ai suoi familiari nell’ottobre del ’43, scampati per un pelo all’orrore delle foibe. “Mio padre era un ‘mobilitato civile’, progettista e titolare di una ditta edile, incaricato di costruire rifugi antiaerei e bunker in Istria, dal governo Mussolini”. E’ la testimonianza di Loriana Bossa, raccolta dall’Adnkronos. Esule istriana, romana di nascita, classe 1935, Bossa aveva otto anni, appena compiuti, quando dovette abbandonare con mamma, papà e il fratello, di due anni più grande, l’elegante cittadina sul golfo del Quarnaro, dove viveva in una bella villetta vicino al porticciolo. Lì lasciò anche la sua amica del cuore, Elda.

L’anziana esule: lasciammo tutto, perfino i vestiti

Partecipò così a quella che è passata alla storia come la diaspora giuliano-dalmata del secondo dopoguerra. “Quella notte ho portato via solo la mia bambola preferita, abbiamo lasciato tutto, perfino i vestiti”. Nelle sue parole è vivo ancora il rammarico e negli occhi, a distanza di tanti anni, il ricordo di una visione lacerante. “Ero una bambina e ho vissuto quel viaggio come un’avventura con mio fratello e i miei genitori – racconta -. Ma ad un certo punto, alle prime luci dell’alba, durante il viaggio, ho visto sagome di uomini impiccati agli alberi nelle campagne, è stato terribile”. “Mio padre ha rischiato di finire infoibato, c’era l’ordine di portarlo in carcere a Fiume, stavano per catturarlo, accusato di collaborazionismo. Si è salvato grazie a un suo operaio che lo ha avvisato e lo ha aiutato a preparare la fuga. Fu grato a quella persona”.

Il calvario dei campi profughi: Friuli, Emilia-Romagna e poi Capo di Monte a Napoli

Il padre di Loriana, Edoardo Bossa, una mente scientifica di rara intelligenza, non si è mai perso d’animo e nonostante avesse perso in Istria un vero capitale in macchine per l’edilizia riuscì a portare con sé, attraverso uno stratagemma, un po’ di soldi. Che lo aiutarono a mantenere la famiglia nei primi tempi dell’esodo. “Due semplici thermos sono stati la nostra banca. – spiega l’anziana –. Proprio così, perché mio padre nascose i soldi nella intercapedine e anche alcuni gioielli all’interno del contenitore in una poltiglia, che nel caso lo avessero fermato avrebbe detto che erano le medicine per mia madre, all’epoca malata per un tumore al cervello”. “Ricordo che appena arrivati in Italia siamo stati trasferiti in un paio di campi profughi in Friuli, poi mi sembra in Emilia Romagna, ma, poco dopo siamo andati a Napoli, a Capo di Monte.

Ha vissuto a Napoli e poi sempre a Roma

Però non abbiamo mai sofferto la fame. – sottolinea Bossa – I miei nonni paterni ci hanno accolto in seguito sempre a Napoli dove ho trascorso alcuni anni e ho fatto le scuole medie. Poi siamo rientrati a Roma e tutto è cambiato”. Loriana Bossa ha trascorso il resto della sua vita nella capitale dove ha frequentato il liceo Cavour. A 18 anni ha incontrato il suo futuro marito, Walter Patriarca artista e scenografo di cinema, di recente scomparso, con il quale ha avuto un figlio, Simone, ed ha vissuto un matrimonio felice.

“Rividi solo una volta la mia casa”

Ha viaggiato molto e tuttavia, un piccolo rammarico resta nel suo cuore. “Sono tornata ad Abbazia una sola volta con mio marito durante la pausa di un film ma il tempo era davvero poco ed è stata una visita fugace, ho fatto appena in tempo a rivedere la mia casa, la stradina che percorrevo a piedi per raggiungere la riva e poi siamo dovuti andare via. Mi piacerebbe ritornarci, forse, – afferma titubante – non vorrei rimanere delusa. Chissà se ha cambiato aspetto quel luogo magico dove ho trascorso anni felici della mia infanzia. Ne conservo un ricordo bellissimo”.