Il commissario Calabresi non toccò Pinelli. Contro di lui da sinistra una campagna mostruosa

Mezzo secolo fa l’assassiio di Luigi Calabresi da parte di Lotta Continua. “Il Commissario Calabresi non toccò neppure con un dito Pinelli. Contro di lui venne montata una campagna mostruosa. Che comportò la firma da parte di 800 minchioni di un manifesto in cui si diceva che Calabresi era un torturatore. Naturalmente nessuno degli 800, dei quali solo 4 o 5 si scusarono, aveva alcun elemento per sostenerlo. E la campagna si concluse con un commando di Lotta continua milanese, che uccise il commissario”.Così all’Adnkronos il giornalista Giampiero Mughini, all’epoca direttore responsabile di alcune pubblicazioni dell’area di Lotta continua e autore di un libro sul caso Calabresi (Gli anni della peggio gioventù). Cerca di portare alla luce la verità, dopo essere stato egli stesso un innocentista.
Calabresi era al piano di sopra quando Pinelli cadde dalla finestra
“Cinquant’anni dall’assassinio di un giovane commissario di polizia – dice Mughini – contro il quale non c’era alcun elemento reale. Il comando della polizia milanese era però convinto che gli anarchici fossero i responsabili di quella maledetta bomba (strage di Piazza Fontana, ndr) anche se non avevano alcun elemento per sostenerlo. Sapevano, però che gli anarchici erano persone irrequiete. Per questo la polizia condusse un interrogatorio piuttosto aspro con Pinelli. Poi il commissario Calabresi andò dal superiore perché firmasse il verbale. In questo frattempo Pinelli andò giù dalla finestra. E a quel punto la magistratura milanese intraprese un’analisi per capire se qualcuno avesse mandato giù Pinelli. Analisi condotta da un magistrato di sinistra, al di sopra di ogni sospetto, che escluse la benché minima responsabilità di Calabresi”.

La campagna della sinistra si concluse con l’omicidio di Calabresi
“Una campagna mostruosa, però, venne montata – ribadisce Mughini – che si concluse con l’omicidio del Commissario. E quel punto l’Italia si divise: da un a parte c’era chi gridava ‘assassini’ rivolgendosi ai fautori dell’omicidio Calabresi. Dall’altra, c’era chi bollava come fandonie quelle dette dal pentito Leonardo Marino. Marino, però, c’era, e non si è inventato niente. Ha solo sbagliato qualcosa per colpa della memoria. La campagna a difesa degli eroi romantici di Lotta Continua durò a lungo ma poi, dopo la confessione di Marino, vennero arrestati e giudicati in un processo che durò anni. In tutto questo l’opinione pubblica di sinistra, il mondo intellettuale, ha parteggiato per Lotta Continua cercando di farli passare per innocenti.
Gli atti processuali non lasciarono dubbi sull’innocenza del commissario
E a parte il mio amico Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, nessuno scrisse una riga perché non era accettabile dire che proprio quelli di Lotta continua avevano ammazzato. E in particolare quelli del commando di Lotta Continua a Milano. Io stesso per alcuni anni ho sperato nella loro innocenza ma era la speranza di un altro minchione. Poi ho capito. Subito dopo la confessione di Marino io sono andato a parlare con l’avvocato Arcari, che era l’avvocato della vedova Calabresi. E lui mi ha fornito dei documenti,sulla famosa indagine condotta dal magistrato D’Ambrosio e che si era conclusa con la piena innocenza di Calabresi. In quel momento non ebbi alcun dubbio. Anzi, di dubbi proprio non ce ne erano a fronte degli atti processuali. C’era il silenzio omertoso di tutti quelli che facevano parte del servizio d’ordine di Lotta continua”.
Meloni ricorda l’omicidio del commissario
“Il 17 maggio di 50 anni fa veniva assassinato vicino alla sua abitazione il Commissario di Polizia Luigi Calabresi, freddato alle spalle da un commando di Lotta Continua, gruppo extraparlamentare dell’estrema sinistra. Nessuna delle persone ritenute esecutrici o responsabili morali di quel brutale omicidio ha scontato fino in fondo la propria condanna. Anni tremendi, di violenza e malagiustizia, che non devono tornare mai più”. Lo scrive su Facebook il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.
Giannini: per la polizia non c’è mai stata macchia su Calabresi
“Per la polizia la macchia non c’è mai stata, perché noi abbiamo sempre avuto grandissima ammirazione e rispetto. Quello che è importante è che poi il tempo è stato galantuomo e ha fatto comprendere a tutti quanto sia stata importante la figura di questo uomo in un periodo difficilissimo”. Lo ha detto il capo della polizia, Lamberto Giannini, a margine della commemorazione per i 50 anni della scomparsa del commissario Mario Calabresi, alla questura di Milano. “Con la strategia della tensione e degli anni di Piombo – ha detto Giannini – iniziò una stagione di odio, e il commissario Calabresi ne fu una delle vittime”.