Martina Scialdone, la libertà negata: chiesta la condanna all’ergastolo per il suo assassino
I pm della Procura di Roma, Barbara Trotta e Daniela Cento, hanno chiesto l’ergastolo per Costantino Bonaiuti, l’ingegnere sessantunenne accusato dell’omicidio volontario aggravato di Martina Scialdone. Il tragico evento risale al 13 gennaio 2023, quando l’uomo, accecato dalla gelosia, uccise l’ex compagna fuori da un ristorante di via Amelia, nel quartiere Tuscolano.
L’accusa è chiara: Bonaiuti non ha accettato la decisione della donna di porre fine alla relazione e di iniziare una nuova vita, frequentando un altro uomo. La premeditazione è uno degli elementi principali contestati: l’imputato aveva con sé una pistola, arma portata illegalmente, e seguiva gli spostamenti della vittima attraverso un dispositivo GPS nascosto sul cellulare.
Durante la sua requisitoria, la pm Barbara Trotta ha sottolineato con forza la motivazione dietro l’omicidio di Martina: l’aver voluto conquistare la propria libertà e l’aver intrapreso una nuova relazione. Ha evidenziato come la decisione di Martina di troncare ogni rapporto con Bonaiuti sia stata la causa scatenante che lo ha fatto deragliare.
L’omicidio di Martina Scialdone
Secondo le indagini, la sera del 13 gennaio 2023, Martina e Costantino si erano incontrati in un ristorante, ma l’atmosfera è degenerata rapidamente in un violento litigio. Testimoni riferiscono che l’uomo si era mostrato sempre più aggressivo, al punto da inseguire la donna fino al bagno del locale, dove Martina aveva cercato rifugio.
Una volta usciti dal ristorante, Bonaiuti avrebbe obbligato la donna a seguirlo verso la sua auto, parcheggiata nelle vicinanze. È proprio accanto alla vettura che l’uomo ha estratto la pistola, sparando a Martina e uccidendola davanti agli occhi del fratello, accorso per proteggerla dopo aver percepito la gravità della situazione.
Un rapporto tormentato e le parole della pm
Durante l’udienza, la pm ha analizzato la natura della relazione tra la vittima e il suo assassino: un legame “tormentato” e segnato da dinamiche ossessive. La pm ha evidenziato come la scelta di Martina di terminare la relazione e di accettare un ultimo incontro sia stata fatale, un errore che, secondo lei, molte donne commettono nel non riuscire a porre una fine definitiva alla relazione.
La vicenda ha avuto un impatto devastante sulla famiglia della vittima, rappresentata come parte civile al processo insieme all’associazione “Insieme a Marianna”, impegnata nella lotta contro la violenza sulle donne.