Occupazioni suolo pubblico, altra “mazzata” per il Comune di Roma: il Tar dà ragione al ristorante a Testaccio

Roma via Luigi Galvani

Un’altra “mazzata” per il Comune di Romache sotto certi aspetti dimostra di non saper gestire il proprio territorio. In un’ulteriore sconfitta contro i privati, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR) ha annullato la comunicazione di improcedibilità che impediva alla A.R. S.r.l. di ottenere il permesso per l’occupazione del suolo pubblico in via Luigi Galvani, a Testaccio, evidenziando come la pianificazione cittadina trasformi ogni richiesta in un labirinto amministrativo.

Il verdetto del Tar: Comune “bocciato”

Il TAR, con sentenza firmata nelle camere di consiglio nei giorni 3 dicembre 2024 e 14 gennaio 2025, ha chiarito che il PMO (Piano di Massima Occupabilità) approvato dal Consiglio Municipale non giustifica la discriminazione nei confronti dei privati. Secondo la corte, il provvedimento del Comune, che aveva escluso il civico di interesse per il ristorante dalla possibilità di occupazione, è stato redatto in maniera tanto rigida da non considerare le reali esigenze di un esercizio commerciale in evoluzione. In altre parole, il Comune di Roma si è autoincartato nel proprio iter di pianificazione, perdendo di vista l’interesse pubblico e favorendo, di fatto, gli attori privati.

La sentenza, pubblicata venerdì 10 aprile 2025, mette in luce come il sistema di occupazione del suolo pubblico a Roma continui a penalizzare gli esercenti, imponendo regole rigide e discriminatorie. Il TAR ha evidenziato che il processo di pianificazione adottato dal Comune, incentrato su una mera “fotografia” dei numeri civici esistenti, non può essere considerato un valido strumento per escludere le nuove realtà. È un atto emblematico della continua incapacità della PA di adattarsi ai tempi, con il risultato che i privati riescono a ottenere ciò che gli spetta.

Roma, giungla amministrativa

Il documento del TAR denuncia in maniera pungente la logica interna del Comune di Roma, che, con la Deliberazione n. 6/2013 e il Regolamento viario, ha inferto una sorta di “muro invisibile” contro gli esercenti che non rientrano nella rigida classificazione della viabilità principale. Non solo l’atto amministrativo, ma anche la comunicazione di mancata valutazione – da parte della PA – dell’istanza di occupazione viene dichiarata inammissibile. È evidente che l’amministrazione capitolina preferisce mantenere il controllo assoluto del suolo pubblico, anche a costo di sembrare retrogrado di fronte alle richieste dei cittadini e degli imprenditori.

Ma questa non è di certo la prima volta che il Comune di Roma prende “schiaffi” dai privati, confermati da sentenze del Tar, come vi abbiamo raccontato in diversi articoli: il Campidoglio perde contro i privati, se non per incompetenza, almeno per un’inerzia che non riesce a tenere il passo con i tempi.

Il parere del legale

La sentenza del TAR, pur essendo un colpo duro per l’amministrazione, apre la porta a una revisione che potrebbe finalmente portare una ventata di trasparenza e di efficienza nella gestione del suolo pubblico a Roma. E il Tribunale Amministrativo, accogliendo il ricorso dell’Avvocato Andrea Ippoliti, difensore della società A.R. S.r.l., ha disposto che debba essere rivisto il piano di massima occupabilità di via Galvani. Per l’Amministrazione, una volta redatto il piano questo rimane intoccabile e immodificabile.

“Al contrario”, ha sostenuto il legale, “un piano, per essere degno di questo nome, dovrebbe verificare sin dall’inizio quanto possa essere oggetto di occupazione suolo pubblico in una determinata area. Molto spesso, invece, l’Amministrazione ha redatto piani come una fotografia del momento e ha quindi negato l’occupazione non per ragioni tecniche o giuridiche ma perché in quel determinato periodo non
c’erano ristoranti oppure senza esaminare analiticamente ogni area. Nel caso di specie, peraltro, il piano era risalente e di oltre 12 anni fa, prevedendo una realtà non più attuale”.

“Il TAR ha quindi accolto la tesi ordinando a Roma Capitale di riesaminare la specifica istanza del ristorante e di esprimersi adeguatamente sulla possibilità o meno di concedergli l’occupazione, non potendo opporre un piano di massima occupabilità che non aveva mai preso in considerazione analiticamente la possibilità di tavoli e sedie davanti al locale e non aveva esposto ragioni concrete e precise”, ha concluso l’avvocato.