Ostia, il Tribunale ‘bastona’ lo storico stabilimento-ristorante: “Dovrà pagare 100mila € al Campidoglio”

Ostia, il Tribunale Amministrativo del Lazio ‘bastona’ lo storico stabilimento-ristorante: “Dovrà pagare 100mila € al Campidoglio”: il Tar Lazio ha emesso una decisione che rappresenta un punto di svolta per la gestione delle concessioni demaniali e l’attività degli stabilimenti balneari a Ostia. La controversia, incentrata sul calcolo del canone di concessione richiesto dal comune di Roma, ha visto contrapposte le istituzioni capitoline e lo storico, stranoto e frequentatissimo stabilimento balneare M., ora condannato a versare una somma pari a circa 100.000 euro a favore del Campidoglio.
A Ostia lo scontro tra Campidoglio e stabilimento balneare
La vicenda nasce dal ricorso presentato dalla società M., concessionaria di un’area demaniale a Ostia Lido, destinata alla gestione di un rinomato stabilimento balneare con annesso ristorante. Con una ordinanza del 10 ottobre 2018 da parte di Roma Capitale aveva richiesto il pagamento di un canone, calcolato in maniera contestata, che si riferiva alle modalità di utilizzo del demanio.

L’operatore economico ha sostenuto che il calcolo delle superfici e la qualificazione delle opere presenti non rispettava i parametri originariamente previsti dalla concessione, evidenziando discrepanze con il trattamento adottato negli anni precedenti.
La controversia si è ulteriormente complicata con l’intervento di enti quali l’Agenzia del Demanio, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Regione Lazio, accentuando il dibattito giuridico sul corretto metodo di determinazione dei canoni demaniali.
La concessione di Ostia troppo onerosa?
Nel procedimento, il fulcro della contestazione si è concentrato sulla metodologia di calcolo del canone. Lo stabilimento M.ha contestato che la stima della superficie addebitata, nonché la classificazione dell’area in base alla presunta alta valenza turistica, fossero fondate su parametri superati e non più congruenti con i dati precedenti.
L’operatore ha evidenziato una discrepanza tra la misura della superficie commerciale contestata, sostenendo che essa fosse inferiore rispetto a quanto indicato nell’ordine di introito del 2017, e che l’applicazione dei nuovi criteri normativi non fosse stata preceduta da un adeguato procedimento nel contraddittorio.
Inoltre, il riferimento a opere realizzate durante il periodo di concessione e la successiva qualificazione come “alta valenza turistica”, mai più confermata da successivi accertamenti, ha ulteriormente alimentato la polemica. Il Tribunale ha riconosciuto la necessità di riesaminare questi aspetti, limitando l’oggetto del giudizio alla questione relativa alla classificazione turistica, già invalidata da precedenti pronunce.
Il giudizio del Tribunale e la decisione finale che cala su Ostia
Durante l’udienza del 25 marzo 2025, il Collegio ha analizzato attentamente il ricorso e le rispettive difese fornite dagli enti coinvolti. In quella sede, è emerso che il giudicato in sede ordinaria aveva già pronunciato chiaramente in merito ai criteri di calcolo e alla validità delle pretese amministrative. Lo stabilimento aveva richiesto l’annullamento degli ordini di introito relativi agli anni 2018 e 2019, sostenendo che la valutazione dell’area ad alta valenza turistica non potesse più essere utilizzata ai fini del calcolo del canone.
Il Tribunale ha riconosciuto la necessità di limitare il dibattito esclusivamente al tema della classificazione turistica, ritenuta priva di fondamento alla luce dei precedenti giudicati. Di conseguenza, la decisione ha compreso l’annullamento delle domande della parte operante e la compensazione integrale delle spese di lite, confermando la condanna dell’operatoreal pagamento di circa 100.000 euro.
Implicazioni per il settore delle concessioni demaniali di Ostia ma non solo
La decisione del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio impone un’importante riflessione sul modo in cui vengono calcolati e applicati i canoni nelle concessioni demaniali, soprattutto in ambito turistico e ricreativo. Questo caso evidenzia l’importanza della trasparenza e della coerenza nei rapporti contrattuali tra le amministrazioni pubbliche e gli operatori privati.
La vicenda, infatti, non riguarda semplicemente un errore di calcolo o una diversa interpretazione delle superfici interessate, ma tocca questioni di metodo e di legalità nella gestione di beni pubblici. Il Tribunale ha sottolineato come l’applicazione di parametri ormai obsoleti o non condivisi possa determinare un’evidente distorsione nel rapporto contrattuale, con ripercussioni economiche rilevanti per chi, come lo stabilimento M., si affida a regolamenti che devono essere aggiornati e applicati in maniera uniforme.
La sentenza, oltre a risolvere una specifica controversia, invia un segnale forte a tutto il comparto degli stabilimenti balneari e a chiunque gestisca aree demaniali sotto finalità turistiche. Essa impone una revisione dei metodi di valutazione dei canoni e un maggiore coinvolgimento dell’operatore nel procedimento di calcolo, garantendo una procedura più equa e trasparente. Il messaggio che ne deriva è chiaro. La tutela del rapporto contrattuale e la certezza del diritto sono elementi imprescindibili per il buon funzionamento del settore, contribuendo a un equilibrio economico e giuridico che tuteli sia la collettività che le imprese.
