Ostia, ‘Se denunci ti ammazziamo’: minacce e ritorsioni all’imprenditore, ma la prescrizione salva i criminali. “È malagiustizia, agiscono ancora”
“Ora posso dire che la malagiustizia esiste. Non riesco a darmi altre spiegazioni. Vedere chi mi ha truffato e rovinato, che mi ha minacciato di morte facendomi puntare una pistola addosso – ma non solo… – continuare a lavorare a Ostia tranquillamente, addirittura come apprezzato imprenditore, mi fa capire che qualcosa non va”.
È amareggiato Gianluca, un imprenditore romano che ha lavorato a Ostia dal 1997 al 1999 e poi ancora dal 2005 al 2011, quando è stato socio di un importante autosalone lidense. E fa riferimento al caso del procuratore Giuseppe Pignatone, indagato con un’accusa pesantissima, quella di aver favorito, negli anni ’90, quando era sostituto procuratore a Palermo, alcuni mafiosi. Pignatone, oggi 75enne, procuratore a Reggio Calabria e a Roma, è stato iscritto nel registro degli indagati della procura di Caltanissetta per il presunto insabbiamento dell’inchiesta mafia-appalti.
“Anche nel mio caso si è parlato di mafia. Non dico che i giudici siano da indagare. Ma è assurdo che alla fine non ci siano colpevoli. E che si sia archiviato tutto per ‘intervenuta prescrizione’. Quindi io, che sono la vittima, mi ritrovo ad aver perso tutto. E loro proseguono ‘a testa alta’. Continuando, a quanto ne so, a fare quello che facevano prima”.
La storia di Gianluca e la truffa di 789 mila euro all’erario
Gianluca nel 2011 scopre che l’autosalone di cui è socio ha un debito verso il fisco di circa 400 mila euro. Ne parla quindi con l’amministratore e con gli altri soci. Ma l’esito lo lascia basito. “Mi è stato che dovevo farmi gli affari miei. Erano stati chiari: non dovevo impicciarmi, perché loro avevano contatti con la criminalità organizzata di Ostia, legata a famiglie casertane e napoletane. Forse non era neanche vero e il legame era solo millantato, visto che proprio in quel periodo l’amministratore dell’azienda si ritrovò anche a gestire un importante stabilimento balneare, sottoposto a sequestro giudiziario del Tribunale di Roma, incarico avuto grazie alle sue conoscenze con una persona all’interno del Tribunale Sequestri e Confische di Roma”.
E lei cosa ha fatto?
“Le loro intimidazioni non hanno fatto effetto, ho denunciato tutto. Grazie alla mia denuncia, il tribunale civile di Roma ha sospeso l’amministratore dal suo incarico. E dopo qualche anno è stato accertato che il debito era addirittura di 786 mila euro e non di 400 mila come credevo io. L’indagine portò a un arresto, che non venne preso bene dalle persone che avevo denunciato. Ma prima di arrivare all’arresto, c’erano già state diverse minacce. Avevano provato in tutti i modi a spaventarmi per farmi lasciare l’autosalone. Questo perché, se fossi restato, avrei potuto vedere quello che succedeva realmente all’interno. Anche se da tempo mi ero accorto dei movimenti strani che avvenivano, non avevo mai detto nulla, fino a quando non mi ero accorto del debito verso lo Stato”.
L’arresto per estorsione e truffa
Può raccontarci come si è arrivati all’arresto? “Nel settembre del 2009 un nostro cliente, che si fingeva avvocato, ma che invece era ricercato dal 1994, saputo delle nostre problematiche interne all’azienda e dei problemi che avevo con l’amministratore e una parte dei soci, in cambio di una parcella altissima mi aveva offerto i suoi servizi legali. Solo nell’aprile del 2010 ho scoperto che non era un avvocato e che non tutelava i miei interessi, ma quelli della controparte. Ho quindi deciso quindi di non saldare la parcella.
Ma il finto avvocato non l’ha presa bene. Sono stato minacciato di avere il locale incendiato dai suoi amici di Ostia, Napoli e Caserta. L’ho denunciato e per questo è stato arrestato e condannato in primo e secondo grado per estorsione e truffa. Ma poco dopo il suo arresto, entrarono due persone con accento campano nell’autosalone in azienda. Mi hanno minacciato poggiandomi una pistola poggiata sulle mie gambe, dicendo «le denunce non si fanno», per cercare di spaventarmi”.
“Non aprire o ti incendio il locale”
Ci racconta cosa è successo dopo questa minaccia?
“Hanno continuato a minacciarmi in ogni modo possibile. All’inizio, volevano costringermi a lasciare l’azienda e abbandonare Ostia. Avevo intenzione di avviare una nuova attività insieme ad altre persone, con caratteristiche simili a quella da cui volevano cacciarmi. Uno dei soci, che tra l’altro mi propose di diventare usuraio e spacciatore di droga, mi chiese di investire al posto suo e pretendeva una quota pari alla mia nella nuova impresa, nonostante le proporzioni inizialmente concordate fossero diverse.
Al mio rifiuto, minacciò di incendiare il locale con l’aiuto dei suoi amici di Ostia, Napoli e Caserta se avessimo aperto. Di fronte a queste minacce, abbandonammo il progetto. Si trattava di un investimento di circa 300.000 euro. Ma ci furono altri episodi inquietanti: una notte trovarono un cartello davanti alla mia porta con la scritta “Infame, queste cose non si fanno“. Non avevo più pace. Hanno terrorizzato me e mia moglie ovunque: nell’azienda di Ostia, nell’ufficio di Roma, a casa e persino mentre ero in macchina, sia di giorno sia di notte.
La pistola puntata in strada
Un giorno ci affiancarono sul ponte della Scafa mentre ero in auto con mia moglie e mi puntarono una pistola in faccia intimandomi di andarmene. Questo clima di terrore distrusse il mio matrimonio. Mia moglie, sconvolta dopo anni di paura, mi lasciò per tornare dai suoi nel nord Italia con nostra figlia che aveva solo 14 mesi. Ho perso non solo il lavoro e tutti i miei soldi, ma anche la mia famiglia”.
Quanti sono i soldi che ha perso in tutto?
“Ho perso circa un milione di euro tra i soldi investiti nell’azienda, gli stipendi non percepiti e i profitti mancati. Non ho mai ricevuto alcuna fattura o riscontro per quanto pagato per diventare socio – acquistai il 20% delle quote per 130 mila euro – né per le spese sostenute dalla società”.
Il modus operandi
Che metodo veniva adottato per evadere le tasse?
“Non pagavano nulla: né IVA, né contributi previdenziali né tasse. In più utilizzavano false sponsorizzazioni riconosciute come tali dall’Agenzia delle Entrate: nel 2008 ricevettero un accertamento per circa 80 mila euro. Così è facile accumulare centinaia di migliaia di debiti con lo Stato per una società con quel volume d’affari”.
In che senso false sponsorizzazioni?
“Gonfiavano le fatture per sponsorizzare eventi che magari costavano 1000 euro ma risultavano essere stati pagati 50 mila euro, anche collaborando con importanti società sportive locali”.
E cosa accadde poi?
“Nel 2012 la società fu posta in liquidazione da un noto notaio di Ostia e Roma senza la mia firma né quella di un altro socio. Prima della sentenza definitiva, un anno dopo, cambiarono l’amministratore senza le nostre firme; nel 2016 l’azienda fu infine cancellata.”
È un sistema che si ripete nel tempo?
“Posso dimostrare che queste persone dal 1992 a oggi hanno continuato a fare il bello e il cattivo tempo sia a Ostia che a Roma con le loro attività nel settore automobilistico e della ristorazione. Le loro aziende vengono fatte fallire o messe in liquidazione opportunamente per poi riaprirle sotto nuovi nomi utilizzando fiduciari vicini a loro; anche le loro proprietà – auto di lusso, moto, ville, appartamenti, terreni e immobili commerciali – sono intestate a terzi fidati piuttosto che direttamente a loro stessi. Questo provoca ovviamente un danno significativo all’economia locale e nazionale che ammonta a milioni di euro.”
Sempre le stesse persone ad agire
Perché ne parliamo adesso?
“Per tre motivi: innanzi tutto perché ho raggiunto la giusta tranquillità che mi consente di raccontare questi fatti. Poi perché, come dicevo all’inizio, l’accusa rivolta verso il procurato Pignatone mi fa capire che anche i giudici possono sbagliare, per buona o cattiva fede. E poi perché c’è comunque un proseguo a questa vicenda, che continua ancora adesso. L’attività di cui ero socio e che era stata chiusa è stata successivamente aperta, sotto un altro nome, ed è andata nella stessa direzione della precedente, accumulando debiti verso il fisco. Per quanto riguarda i soci, uno è rimasto lo stesso, mentre gli altri sono legati ai precedenti in maniera trasversale, da parentele o amicizie molto forti”.
Sono sempre le stesse persone ad agire?
“Sì, anche se utilizzando dei prestanome. Preferiscono usare principalmente società in accomandita semplice per queste operazioni, ma non disdegnano nemmeno le Srl”.
Lei menziona i settori automobilistico e della ristorazione. Ma di quante attività stiamo parlando qui a Ostia?
“Diverse. Più di una nel settore delle auto, un ristorante all’interno di un circolo, oltre ad altri locali. In totale, tra Ostia e Roma, si parla di una decina di attività”.
Per quale volume d’affari?
“Quando ero presente nella mia azienda, entravano 70/80 mila euro al mese”.
Cosa vorrebbe ottenere?
“Che lo Stato intervenisse seriamente dopo tanti anni, fermando questo traffico. Quello che è successo a me non dovrebbe accadere ad altre persone. Inoltre, vorrei essere risarcito per il danno subito, sia economicamente che psicologicamente. Anche se non penso che questo accadrà mai, visto come sono andate finora le cose”.
Proposte illecite
Ci sono state altre pressioni oltre alle minacce?
“Sì, mi hanno proposto di entrare in affari con loro. Affari illeciti e pesanti qui a Ostia”.
Di che tipo?
“Di aprire un conto corrente e depositare del denaro. Poi, se arrivava un ‘amico’, potevamo offrirgli un prestito e guadagnare sugli interessi”.
Si tratta quindi di usura?
“Non so come la vuole definire… potrebbe essere anche riciclaggio di denaro. Io posso solo sospettarlo perché non ho accettato. Così come non ho accettato di spacciare quando me lo hanno proposto. Inoltre, quando lavoravo lì, di notte arrivavano auto che nessuno doveva toccare, come mi riferiva lo stesso socio”.
C’era anche traffico di droga?
“A questo riguardo non so se fosse vero o solo un modo per spaventarmi e farmi lasciare l’azienda. Quando il socio mi disse che di notte entravano auto sconosciute, gli proposi subito di denunciare l’accaduto, ma lui rispose categoricamente no perché avremmo rischiato problemi con la criminalità organizzata locale. Un mattino trovammo una bustina con sostanza stupefacente nell’ufficio”.
Il magistrato choc: “Se denuncia evidentemente non ha tanta paura”
Cosa l’ha colpita maggiormente in questa vicenda?
“Il fatto che la Magistratura mi abbia girato le spalle. Un Magistrato addirittura mi scrisse che, se stavo denunciando, evidentemente non avevo così tanta paura di quello che mi stava succedendo. Invece io ero terrorizzato ma sapevo che era giusto denunciare. E tutto ciò che dico è dimostrabile con la documentazione raccolta negli anni: tutti i documenti sono stati inviati anche all’estero per sicurezza personale. Rimasi sconvolto quando nel 2011 venni licenziato. Dopo aver vinto la causa per essere riammesso al lavoro fui contattato da un noto Notaio, che mi offrì denaro o il reintegro a condizione di ritirare le denunce in corso spiegandomi, che quelle accuse avrebbero danneggiato non solo i denunciati, ma anche altre persone innocenti.
Ancora più scioccante fu quando uno dei soci mi disse che conosceva il nome del Magistrato incaricato della mia denuncia poiché avevano cambiato commercialista con uno del Tribunale Sequestri e Confische di Roma – ed era vero. Ho recentemente aggiornato i dati attraverso una ricerca affidata a professionisti scoprendo conferme sul modus operandi adottato negli anni da queste persone.”
Quante persone sono coinvolte in questi “affari”?
“Una decina. Aprono attività che durano qualche anno al massimo. Nel frattempo accumulano debiti, poi le mettono in liquidazione o le fanno fallire appositamente per riaprirle sotto altro nome e diversa struttura societaria. Ogni anno ogni azienda dichiara perdite per circa 50 mila euro. Per avere il volume degli affari basta moltiplicare questa cifra per una decina di aziende… capirà come una persona ufficialmente nullatenente e disoccupata possa possedere una villa lussuosa vicino agli scavi Ostia Antica e avere una licenza taxi del Comune di Roma guidando personalmente o affittandola a terzi.”
Cosa spera di ottenere?
“Ormai non lo so neanche io, visto come sono andate finora le cose. L’archiviazione per prescrizione dei termini suona come una beffa. Chiedevo giustizia. Ma sembra una parola sconosciuta. Mi resta l’orgoglio di aver saputo ricominciare da zero. Senza soldi, senza famiglia. Ma onesto. Quello che mi dispiace è, camminando per le strade di Ostia, vedere ancora questa gente, mescolata a persone perbene”.