Pomezia, le ‘sfilano’ la casa popolare, lei chiede al Comune maxi risarcimento da 3 milioni

Comune di Pomezia, sede, in piazza Indipendenza, e vie limitrofe. Foto 7 Colli
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Pomezia, le ‘sfilano‘ la casa popolare e lei chiede al Comune maxi risarcimento da 3 milioni. È la storia, che sembra incredibile, da fiction, ma purtroppo vera e reale che è capitata ad una signora pometina che per ragioni di privacy chiamaremo A.M..

La signora A.M. è stata privata del suo alloggio popolare alla fine degli anni ‘90. Un alloggio che aveva ottenuto in modo regolare. E che le è stato sottratto in modo illegittimo da terzi. Ha chiesto l’aiuto dello Stato e del Comune di Pomezia per rientrare in possesso dell’immobile. Ma lo Stato non è stato in grado di aiutarla.

Pomezia, le ‘sfilano’ la casa popolare

Nonostante tutti i tentativi di riavere l’immobile o, in alternativa, una somma a titolo di risarcimento, non ha ottenuto giustizia né dal Tribunale Civile né tantomeno dal Tar del Lazio. Dopo una lunga serie di ricorsi e cause, l’ultima sua richiesta (che risale al 2016) è stata bocciata dal Tar del Lazio nella giornata di 3 giugno 2024 con la sentenza n. 11262.

Lei chiede al Comune maxi risarcimento da 3 milioni

La signora, quindi, non ha ottenuto i soldi richiesti. L’intera e complessa vicenda è stata così spiegata dai giudici: “Il 12 dicembre 2016 la signora A. M. chiamava in causa il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio al fine di ottenere la pronuncia risarcitoria. L’interessata esponeva in fatto che nel 1998 veniva spogliata del possesso dell’alloggio di Edilizia Residenziale Pubblica (E.R.P.) assegnatole, di proprietà del Comune di Pomezia, a seguito di occupazione senza titolo da parte di terzi”.

In seguito alla sentenza del Tar, ilComune di Pomezia ha emesso una ordinanza di sgombero d’urgenza dell’immobile, la n. 335 del 25 luglio 1998. Tuttavia, pochi giorni dopo, questa stessa ordinanza veniva revocata.

Signora contro lo Stato e il Comune

La signora ha a sua volta impugnato la revoca dell’ordinanza disposta dal Comune di Pomezia per motivi ignoti. “La ricorrente – aggiungo i giudici del Tar – attivava altresì azione civile possessoria dinanzi al Tribunale di Roma. Il quale accoglieva la domanda in sede cautelare con ordinanza del 23 ottobre 2001 e successiva conferma nel merito, con sentenza n. 14658 del 23 febbraio 2005″.

Ma, in modo incredibile, il comune di Pomezia, a seguito delle verifiche svolte in relazione al caso, con la determinazione dirigenziale n. 1028 del 19 luglio 002, disponeva l’intervenuta decadenza dell’assegnazione dell’alloggio popolare.

La decisione incredibile del Comune di Pomezia

Anche questa decisione del Tar è stata portata dalla signora all’attenzione del T.A.R. che concedeva la sospensiva della incomprensibile decisione comunale. Contestualmente, in sede penale, venivano condannati gli autori dell’occupazione illegittima a danno della signora. Tutto risolto? Nemmeno per sogno.

Con la sentenza n. 2530/2011, il Giudice Civile, chiamato dalla signora a quantificare il risarcimento dei danni patrimoniali, morali e non patrimoniali, dichiarava il proprio difetto di giurisdizione e rinviava il tutto al Tar del Lazio.

La signora, non paga, si è recata di nuovo al Tar chiedendo la condanna al risarcimento del danno subito a causa del comportamento inerte della Pubblica Amministrazione che, a suo dire, aveva disatteso le sue numerose istanze di tutela favorendo situazioni antigiuridiche.

Una storia senza lieto fine

In particolare, il Comune di Pomezia non aveva dato nessun riscontro alle plurime richieste inoltrate al Sindaco. Tale comportamento inerte del Comune aveva consentito agli occupanti abusivi di permanere presso l’immobile per oltre un decennio. In quanto, di fatto, non ne era stata impedita l’occupazione arbitraria e illegittima.

Inoltre, la donna “giustificava l’impossibilità di riprendere possesso dell’immobile, attese le condizioni, in tesi, di inagibilità dello stesso”. Come è andata a finire? Il Tar ha bocciato ancora, le ragioni della signora e dichiara il ricorso: “irricevibile per tardivitàad abundantiam”, ossia una richiesta risarcitoria troppo alta.

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