Roberto Menia: a 100 anni dall’annessione di Fiume all’Italia, ricordare i due eroici senatori della città

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Il senatore triestino di Fratelli d’Italia Roberto Menia, intervendo alla Camera, ricorda “che cento anni fa, il 27 gennaio 1924, Fiume veniva annessa all’Italia. Non c’è niente di rivendicazionista in questo,è tutela della memoria, è ricordare gli italiani. Vorrei che gli italiani oggi tante cose le comprendessero, le capissero e le ricordassero. Oggi la stragrande maggioranza degli italiani nemmeno sa dove stia Fiume: la chiama Rijeka, traduzione in croato della parola Fiume. Eppure Fiume con il nome Tarsatica, antica colonia militare romana dell’epoca di Ottaviano Augusto, era inclusa nel  vallo romano che correva per 35 chilometri, scendendo da Aidussina nel mare del Carnaro, quello che Dante ricorda come il luogo dove l’Italia si «chiude e suoi termini bagna». Lì un’iscrizione di quei tempi diceva haec est Italia diis sacra.

Fiume risorse dopo l’anno Mille come Terra Fluminis Sancti Viti

Fiume risorse dopo l’anno Mille come Terra Fluminis Sancti Viti, passò tra il 1428 e il 1465 al patriarcato di Aquileia, al vescovo di Pola, poi ai conti di Duino e ai signori di Walsee e, alla fine, divenne possesso di casa d’Austria. Nonostante i molteplici mutamenti, si mantenne indipendente. Vi si parlava l’italiano o, meglio, il dialetto veneto di allora. Nel 1776 Maria Teresa d’Austria annesse la città all’Ungheria per il tramite della Croazia, suscitando proteste e agitazioni vivissime. Dovette rivedere le sue decisioni il 23 aprile del 1779 con uno scritto famoso nella storia dei fiumani: «Benignamente accordiamo che la commerciale di San Vito (Fiume) col suo distretto, si debba anche per innanzi considerare corpus separatum annesso alla sacra corona del regno ungarico».

Molti fiumani combatterono per l’Italia nella Grande Guerra

Fiume era parte infatti dell’Ungheria. Se andate a Budapest a vedere il Museo ungherese, trovate la scritta Fiume. Il 1848 è il movimento dei moti nazionali in tutta Europa. Gli ungheresi si ribellano. L’Austria e l’Ungheria diventano due entità nell’ Impero. Fiume è il porto dell’Ungheria. All’inizio del XX secolo, dalla strenua difesa dell’italianità di Fiume alla nascita dell’irredentismo, il passo è breve. Nasce la giovane Fiume e il circolo irredentista verrà sciolto da autorità del Regio governo asburgico nel 1913. Scoppia la Prima guerra mondiale; saranno centinaia i fiumani che accorreranno volontari nelle Forze armate italiane. Molti cadranno combattendo valorosamente. Centinaia e centinaia di cittadini saranno deportati nei campi di concentramento austro-ungarici.

Quando D’Annunzio conquistò Fiume il 12 novembre del 1919

Alla fine della guerra, il 18 ottobre 1918, il deputato di Fiume al parlamento di Budapest, Andrea Ossoinack, rivendica il diritto della città all’autodeterminazione. Il 30 ottobre 1918 il consiglio di Fiume, presieduto da Antonio Grossich, chiede l’annessione della città all’Italia. Le truppe croate di stanza a Fiume, al servizio dell’impero, occupano gli uffici, mentre le navi militari italiane arriveranno al porto il 4 novembre, ma non sbarcheranno. Fiume diventerà un mito per gli italiani. E’ la storia della cosiddetta vittoria mutilata: la lanciò Gabriele D’Annunzio e fu proprio lui, partendo da Ronchi, che da allora è Ronchi dei Legionari, a conquistare Fiume il 12 novembre del 1919, ritenendo di risolvere il problema con la sua occupazione e poi la creazione della Reggenza del Carnaro.

Le notti del “Natale di sangue”

L’Italia stessa manda i suoi soldati contro D’Annunzio, perché non può accettare che un poeta, pur soldato, non segua gli accordi internazionali. Ci sarà il Natale di sangue, si spareranno tra italiani, moriranno in 54. Sono le notti del Natale di sangue tra il 24 e il 28 di dicembre, uno scontro fratricida tra italiani. D’Annunzio lascerà Fiume il 18 gennaio del 1921 e consegnare la città a Riccardo Gigante. Poi, con il Trattato di Roma del 27 gennaio del 1924 – cento anni – Fiume verrà annessa all’Italia grazie agli accordi tra Italia e Regno dei serbi, croati e sloveni. La Fiume di allora contava 55.000 abitanti, 50.000 dei quali andarono via con l’esodo, dopo la conquista da parte dei titini. Era il 3 maggio del 1945.

La drammatica sorte del senatore Icilio Bacci, mai più ritrovato

Quando entrate in Senato, trovate – uno a destra e uno a sinistra dell’Aula – i busti di due senatori di Zara italiana: da una parte, Luigi Ziliotto e, dall’altra, Roberto Ghiglianovich. Ebbene, i senatori di Fiume hanno avuto una morte drammatica e gloriosa. Gli ultimi due senatori di Fiume erano Icilio Bacci, un grande uomo che combatté per l’italianità della sua città. Aveva settant’anni e riteneva di non avere fatto male a nessuno, ma il 3 maggio, quando i titini entrarono a Fiume, fu prelevato, portato via e poi, si dice, fucilato. Il suo corpo non fu mai restituito. La moglie fece incidere sulla sua tomba vuota la scritta: «Visse per l’Italia, per l’Italia morì».

Il senatore di Fiume Riccardo Gigante, che aderì alla Repubblica Sociale

L’altro senatore di Fiume era Riccardo Gigante: lo chiamavano l’uomo dal fegato secco. Riccardo Gigante fu uno degli uscocchi di D’Annunzio. Fu soprattutto il sindaco di quella città. Fu senatore del Regno. Aveva sposato un’ebrea. Aderì alla Repubblica sociale italiana, ritenendo così di poter difendere Fiume. Assieme a Palatucci difese gli ebrei di Fiume, ma fu anch’egli prelevato il 3 maggio a Fiume e massacrato a baionettate a Castua. Il suo corpo è stato ritrovato dopo decenni. Qualche anno fa a Castua è stato riesumato e recuperato, grazie alla prova del DnaNA del Ris di Parma. Ora riposa nel mausoleo degli eroi del Vittoriale sotto Gabriele D’Annunzio, il suo comandante.

Menia: ricordare i due senatori di Fiume qui al Senato

All’ingresso dell’Aula ci sono i senatori di Zara. I due senatori di Fiume, morti per la patria, non sono mai ricordati. Gli esuli fiumani lo hanno richiesto in più e più occasioni. Io chiedo a lei, Presidente, se volesse, in questo speciale anniversario, nei cento anni dall’annessione di Fiume e, tra l’altro, nei vent’anni dall’approvazione”, conclude Menia. Il presidente La Russa promette al deputato menia di farsi carico della richiesta: “Me ne farò carico, senatore Menia. La ringrazio e plaudo al suo intervento. Me ne farò carico, riferendo a chi ha la potestà di decidere. Naturalmente, non è una decisione che posso prendere in solitario, ma capisco il senso della sua richiesta”.