Roma, da magazzino di Monte Testaccio (zona Unesco) ad alimentari e infine… raffinata boutique

Roma, da magazzino di Monte Testaccio (zona Unesco) ad alimentari e infine… raffinata boutique. Monte Testaccio, cuore storico e culturale della Capitale, è al centro di una vicenda che intreccia urbanistica, economia commerciale e tutela del patrimonio. Un immobile di 160 metriquadrati, un tempo semplice magazzino situato in zona Unesco, è stato trasformato prima in alimentari, con il via libera del Comune di Roma. Ed, ora, ha anche corso il ‘rischio‘ di essere trasformato in una raffinata boutique. In pratica, in quello che in gergo tecnico si chiama ‘locale commerciale‘. L’immobile, difatti, è stato al centro di un contenzioso amministrativo che si è concluso però con il rigetto dell’istanza di condono edilizio, presentata da una società privata, da parte del Tribunale Amministrativo Regionale (Tar) del Lazio. In parole povere, i giudici hanno certificato l’impossibilità dell’ulteriore trasformazione urbanistica.
Roma, il magazzino di Monte Testaccio diventa alimentari, ma non sarà mai una boutique
L’immobile, situato in un’area vincolata Unesco, rientra nella zona di Monte Testaccio, per la precisione a due passi dalla celebre salita di Monte Dè Cocci, soggetta a tutela per il suo grande valore architettonico e paesaggistico. Il Comune di Roma aveva respinto l’istanza di condono presentata dai proprietari, rilevando che l’intervento – il cambio di destinazione d’uso da magazzino (categoria C/2) a locale commerciale (categoria C/1) – costituiva un abuso edilizio maggiore, non sanabile per legge in aree protette.

Zona Unesco di Roma: la posizione del Comune
I proprietari dell’immobile hanno impugnato la decisione del Comune, sostenendo che il rigetto del condono fosse infondato per diverse ragioni. Anzitutto, hanno accusato l’Amministrazione di aver commesso un errore nella valutazione del caso, considerando l’immobile come un magazzino sotterraneo invece che terraneo, con conseguenti inesattezze nella classificazione dell’abuso edilizio. In secondo luogo, hanno sostenuto che il cambio di destinazione d’uso non rientrasse tra le opere non sanabili secondo la normativa in vigore e che, al contrario, fosse conforme alle regole urbanistiche del momento. Infine, hanno criticato la mancanza di una motivazione chiara e approfondita nel provvedimento, evidenziando che il Comune aveva ignorato un parere favorevole del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che avrebbe potuto avallare il cambio d’uso.
Di fronte a queste argomentazioni, il Comune ha difeso il proprio operato, ricordando che la giurisprudenza in materia è chiara: gli interventi edilizi di maggiore impatto, come quello contestato, non possono essere sanati quando vengono effettuati in aree soggette a vincoli paesaggistici e ambientali.
La decisione del Tar sull’area Unesco di Roma
Dopo aver esaminato il caso, il Tar ha confermato la legittimità del provvedimento comunale. La normativa statale e regionale esclude categoricamente la possibilità di sanare abusi che comportino nuove superfici o volumi in aree protette. Il parere favorevole rilasciato dal Ministero non era sufficiente a superare tali preclusioni, soprattutto in assenza di ulteriori nulla osta richiesti.
Il Tar ha inoltre chiarito che l’eventuale utilizzo dei locali per attività di somministrazione alimentare autorizzate in passato dal Comune non rappresentava un elemento rilevante ai fini della sanatoria. Infine, non è stato riconosciuto alcun silenzio-assenso sull’istanza, vista l’incompatibilità dell’abuso con la normativa.
Da Roma un monito per la tutela del patrimonio
La sentenza del Tar Lazio ribadisce un principio cruciale. La tutela del patrimonio architettonico e paesaggistico prevale sugli interessi individuali. Anche quando interventi successivi sembrano valorizzare un’area di pregio. Basti pensare al progetto con vista Circo Massimo di Mac Donalds di qualche anno fa, poi abortito. Anche Monte Testaccio, con la sua storia millenaria e il riconoscimento Unesco, rimane un simbolo. Un simbolo della necessità di coniugare sviluppo e conservazione. € necessario ricordare che ogni intervento urbanistico deve rispettare il valore universale di un territorio unico. La società proprietaria dell’immobile ha facoltà di presentare ricorso contro l’attuale sentenza del Tar. Chiedendo, nel caso, l’intervento del Consiglio di Stato, secondo ed ultimo grado della Giustizia amministrativa.