Roma nella morsa dell’usura: torna in carcere il “cravattaro” di Primavalle

usura

Aveva da poco finito di espiare una pena detentiva in carcere di 5 anni per i reati di usura ed estorsione. Ad accorgersi che Z.B., 62enne, romano, conosciuto in zona Primavalle come “Ceccopeppe” aveva ripreso la sua attività di cravattaro, sono stati gli agenti del XIV Distretto Primavalle diretto da Tiziana Lorenzo. Dal racconto di alcuni testimoni i poliziotti sono riusciti ad accertare che a metà luglio circa, l’uomo aveva fermato una donna in strada pretendendo la restituzione di un prestito fattole. Alle rimostranze della vittima Z.B. aveva iniziato a schiaffeggiarla minacciandola di morte insieme alla sua famiglia intimandole esplicitamente di restituire i soldi senza coinvolgere la polizia.

Superando le sue iniziali paure la vittima, tuttavia, è riuscita a raccontare l’accaduto agli agenti dando il via a quella indagine – coordinata dalla Procura della Repubblica di Roma – che ha permesso di sottoporre “ceccopeppe” alla nuova misura. Sulla base dei riscontri investigativi raccolti, infatti, il Giudice per le Indagini Preliminari ha emesso nei confronti del 62enne, indagato per usura, tentata estorsione e lesioni personali, un’ordinanza di applicazione della misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico. L’ordinanza è stata eseguita dagli agenti nella giornata di ieri.


Meno di un mese fa, il pool antiusura della Procura della Repubblica di Roma, ha eseguito 4 misure cautelari, dopo aver individuato e ricostruito un giro di prestiti, a interessi usurari, a piccoli imprenditori e a persone in difficoltà economiche prevalentemente del quartiere Laurentino. Agli indagati, di età compresa tra i 29 e i 65 anni, sono contestati a vario titolo i delitti di usura ed estorsione aggravate nonché esercizio abusivo di attività finanziaria. Le indagini sono scaturite da alcune denunce fatte dalle vittime nelle zone Eur, Tintoretto e Marconi, Appio e Portuense.

Usura: così i prestiti diventano impossibili da restituire

Gli interessi praticati, da corrispondere a cadenza mensile, oscillavano tra il 130 e il 480% circa, su base annua. La modalità di estinzione invece si basava sul modello ‘a fermo’: infatti il debito generato dalla concessione iniziale di una somma di denaro, sebbene utilizzato come parametro per calcolare ciascuna rata, sarebbe stato considerato estinto solo con il pagamento per intero della quota capitale. Con questo sistema, in pratica, la vittima si trovava a restituire, nel giro di pochi mesi, somme complessive pari quantomeno al doppio, al triplo se non addirittura a cinque volte l’ammontare ottenuto in prestito, sempre al netto delle ristrutturazioni del debito effettuate arbitrariamente dagli indagati, man mano che non rientravano del denaro prestato nei tempi concordati.