Roma, ristorante (con tre sedi) beffa il Campidoglio, il Tribunale: “Ok ai tavoli in strada”

Roma, uno storico ristorante (con tre sedi, due a Testaccio e una ad Ostiense) beffa il Campidoglio, il Tribunale Amministrativo: “Ok ai tavoli in strada”. Colpo di scena nel quartiere Testaccio: lo storico ristorante A. ha ottenuto un sostanziale via libera dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio per posizionare i tavoli all’aperto nella centralissima via Galvani.
Il Tar ha annullato il provvedimento con cui il Comune di Roma aveva dichiarato improcedibile la domanda della società per la concessione di suolo pubblico, accogliendo integralmente il ricorso presentato dal ristorante.

Il Comune aveva respinto l’istanza sulla base del Piano di Massima Occupabilità (PMO) approvato più di dieci anni fa, secondo cui il civico 24/A non rientrava tra quelli autorizzati. Ma per i giudici, tale esclusione non è sufficiente a giustificare il rigetto, specie in assenza di motivazioni fondate su criteri di interesse pubblico.
Roma, pianificazione obsoleta: ristorante ‘beffa’ il Campidoglio
Il Tar ha riconosciuto l’infondatezza dell’argomento principale su cui si basava il diniego: il fatto che il PMO di zona non prevedesse tavoli per il civico interessato. Secondo la sentenza, infatti, i Piani di Massima Occupabilità sono strumenti di pianificazione particolareggiata, nati per regolamentare lo spazio urbano occupabile da esercenti di attività di somministrazione. Tuttavia, questi piani, redatti spesso in modo “fotografico”, si basano su una mappatura statica dei civici esistenti all’epoca della loro approvazione.
Ciò significa che chi non era attivo nel momento storico della redazione del piano – come accaduto ad A. – viene escluso a priori, senza che siano prese in considerazione le reali condizioni del luogo o l’eventuale compatibilità dell’attività con l’ambiente circostante.
Il Campidoglio ci ripenserà? La stretta anti-tavoli di Roma è troppo serrata
La decisione del Tribunale apre la strada a nuove valutazioni sul tema della pianificazione urbana e dell’uso del suolo pubblico nella Capitale.
Nonostante la normativa vigente preveda restrizioni su strade classificate come “viabilità principale”, come Via Galvani, il Tar ha precisato che la pianificazione adottata da Roma Capitale non può essere considerata vincolante in senso assoluto.
La classificazione viaria, secondo i giudici, non basta a impedire ogni tipo di concessione, soprattutto se la richiesta proviene da attività che non avevano avuto occasione di essere incluse nel PMO originario. Il fatto che il Comune abbia adottato criteri non aggiornati, privi di un’adeguata istruttoria e pubblicità, rende di fatto illegittima l’esclusione.
Cosa cambia ora per gli esercenti di Roma?
Il verdetto rappresenta un’importante affermazione per i diritti dei commercianti e degli imprenditori del settore ristorazione di Roma. Specialmente in un contesto urbano dove l’uso dello spazio pubblico è spesso motivo di conflitto tra esigenze economiche e norme urbanistiche.
La sentenza, infatti, stabilisce che l’Amministrazione comunale di Roma avrebbe dovuto valutare nel merito l’istanza di A., oppure convertirla in una richiesta di revisione del PMO, come previsto dallo stesso regolamento. Un passaggio che non è stato effettuato, violando il principio di correttezza amministrativa e collaborazione con il cittadino.
Una questione aperta per tutta Roma
Il caso di Via Galvani potrebbe fare scuola. Sono numerosi, infatti, gli esercizi commerciali nati dopo l’approvazione dei piani municipali o esclusi per motivi non giustificati da esigenze di decoro, sicurezza o viabilità. Ora, questi esercenti potrebbero trovare nella pronuncia del Tar un precedente utile per chiedere una revisione dei propri casi.
Il Tribunale: “Roma riesamini per bene il caso”
Roma dovrà ora riesaminare l’istanza di concessione del ristorante, con la possibilità di adottare nuovi provvedimenti. Ma intanto, per “A.”, si aprono le porte del dehors: una vittoria simbolica che racconta di una città in evoluzione, dove la burocrazia non può più permettersi di restare ferma nel tempo. Il Comune di Roma ha facoltà di presentare ricorso in secondo grado al Consiglio di Stato, secondo e ultimo grado della giustizia amministrativa, contro questa sentenza del Tar Lazio.