Salario minimo, le menzogne della sinistra: l’81% ha più di 9 euro l’ora

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In Italia i minimi retributivi sono garantiti da un sistema vasto e capillare di contrattazione collettiva, che, a fine 2022, vede 946 contratti collettivi nazionali di lavoro depositati al Cnel e copre, su un totale di circa 13,2 milioni di lavoratori dipendenti privati, 12,8 milioni di persone ovvero il 97% degli addetti. L’81% di questi lavoratori ha un ccnl con un salario di ingresso superiore a 9 euro, il 18% tra gli 8 e i 9 euro, mentre solo l’1% dei lavoratori ha un contratto che stabilisce una paga oraria sotto quota 8 euro.

Solo l’1 per cento dei lavoratori guadagna meno di 8 euro l’ora

L’introduzione del cosiddetto salario minimo a 9 euro, pertanto, significherebbe portare un incremento mensile per questo potenziale 1% dei lavoratori in media poco più di 50 euro netti mensili, mentre il vero ed unico beneficiario sarebbe lo Stato che tra incremento del gettito Irpef e di quello contributivo porterebbe nelle sue casse 1,5 miliardi di euro. Osserva il consigliere nazionale di Unimpresa, Giovanni Assi: “Il tema del salario minimo è utilizzato solo come strumento di campagna elettorale giocando come sempre sulla pelle di lavoratori e delle imprese.

Unimpresa: non è il salario minimo il più grosso problema

Poiché così facendo si produrrebbe solo un aumento del costo del lavoro stimato in oltre 6,7 miliardi e che avrebbe un impatto negativo principalmente sulle piccole e medie imprese, riducendone drasticamente la competitività soprattutto nei mercati internazionali con conseguenze che non è difficile immaginare: riduzione di manodopera e ulteriore ricorso al sommerso vera piaga sociale” . Il tema del salario minimo non soddisfa affatto la vera questione che oggi esiste nel nostro Paese ovvero la perdita del potere di acquisto dei salari.

Recuperare il valore dei salari

La funzione del salario minimo sarebbe inutile e forse dannosa. Se si vuole far recuperare il valore dei salari necessarie politiche che incidano in maniera strutturale sul cuneo fiscale. Unimpresa a maggio ha presentato in commissione lavoro alla Camera tre concrete proposte. Occorre anzitutto ampliare lo strumento del welfare aziendale, innalzando la soglia di fringe benefit a 3.000 euro per tutti i lavoratori dipendenti e ai lavoratori assimilati a quello del lavoro dipendente, a prescindere dalla presenza di figlia o coniuge a carico, come, invece, inspiegabilmente stabilito nell’ultimo decreto lavoro.

Azzerare l imposte sui premi di produttività

Al fine di aumentare il potere di acquisto dei lavoratori dipendenti e, al tempo stesso di stimolare la produttività, è necessario azzerare le imposte, sia a carico dei lavoratori sia a carico delle aziende, sui premi di produttività fino all’importo annuo di 6.000 euro. Allo scopo, poi, di stimolare la contrattazione di secondo livello e di consentire alle realtà aziendali di integrare istituti economici e normativi disciplinati dai contratti collettivi nazionali, sarebbe indispensabile detassare totalmente gli aumenti salariali che derivano dalla contrattazione di secondo livello.

Diminuire contribuzioni e tassazioni varie

Così, a esempio, se un ccnl stabilisce un minimo salariale per un determinato livello di 10 euro l’ora e l’azienda, per effetto di una contrattazione di secondo livello definita con le organizzazioni sindacali, corrisponde a quel lavoratore un salario di 12 euro all’ora, quei due euro aggiuntivi andrebbero considerati totalmente esenti da contribuzione e tassazioni. Ciò con l’obiettivo di portare effettivamente nelle tasche del lavoratore due euro in più nette e all’azienda costare effettivamente due euro senza ulteriori aggravi.