Sangiuliano: “Ecco perché i veri democratici devono dirsi anticomunisti”
“Se è doveroso e sacrosanto definirci antifascisti perché il fascismo tolse la libertà agli italiani, fece le abominevoli leggi razziali e portò l’Italia in una guerra rovinosa in cui fu sconfitta da chi in Europa occidentale si oppose ai regimi nazifascisti — per inciso, da nazioni guidate da due statisti esponenti della destra come Winston Churchill e Charles De Gaulle — allo stesso modo se si è sinceri democratici bisogna definirsi anticomunisti. La reticenza su questo punto è una spia preoccupante. Nessuno lo ha mai chiesto ad Elly Schlein e sarebbe ora che qualche giornalista prendesse coraggio per porle questa domanda”. Lo afferma il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, in un intervento sul Corriere della sera.
Ecco perché è doveroso dirsi anche anticomunisti
“È una vicenda tragica e dolorosa poco nota – scrive Sangiuliano – ma esemplare di un clima di terrore che attraversò un pezzo d’Italia all’indomani della fine della seconda guerra mondiale. Ferruccio Parri, presidente del Consiglio ed esponente antifascista, parlò addirittura di trentamila morti; l’allora ministro dell’Interno, Mario Scelba, democristiano, parlò di diciassettemila vittime, mentre il giornalista e saggista Giorgio Bocca scrisse di quindicimila. Solo una minima parte di questi eccidi riguardò fascisti ed ex fascisti: in molti casi furono colpiti semplici sacerdoti, esponenti cattolici, piccoli possidenti agrari. Giampaolo Pansa meglio di altri ha raccontato e documentato quello che accadde allora. Una parte dei responsabili di questi eccidi fu individuata e denunciata, come emerge dai rapporti dei carabinieri, e risultarono iscritti al Pci. La partigiana Brigata Osoppo fu massacrata a Porzus da altri partigiani comunisti perché non si era voluta assoggettare al comando del maresciallo jugoslavo Tito, difendendo la sua italianità. Fra le vittime anche il fratello di Pier Paolo Pasolini e uno zio di Francesco De Gregori”.
L’intervento di Sangiuliano al Corriere
“In Italia – sottolinea il ministro della Cultura – non c’è stata una dittatura comunista ma c’è stato un partito che ha operato a lungo per instaurarla, finanziariamente e politicamente legato all’Unione Sovietica di Stalin e Breznev, guidato da un leader stalinista”.
“Solo alla metà degli anni Settanta, Enrico Berlinguer intraprese (e di questo gli va dato atto) un percorso per un totale distacco dall’Urss e la costruzione di quello che definì l’eurocomunismo – conclude il ministro – Ma ci volle la caduta del Muro di Berlino e la decisione di cambiare nome al Pci per far riconoscere agli esponenti di quel partito le responsabilità materiali e morali della loro storia politica”.