Serena Mollicone: ecco tutte le prove che (secondo l’accusa) inchiodano la famiglia Mottola

Serena Mollicone

I giudici della Corte d’Assise del Tribunale di Cassino si sono ritirati in Camera di Consiglio per emettere la sentenza del processo per l’omicidio di Serena Mollicone. La sentenza è attesa in serata.

Secondo l’accusa, Serena Mollicone sarebbe stata uccisa all’interno della caserma dei carabinieri di Arce il 1 giugno del 2001. La giovane sarebbe stata sbattuta contro la porta di un alloggio al termine di una colluttazione, intorno alle 11.30 di mattina. Svenuta e con un trauma alla testa importante ma non letale, sarebbe stata soffocata con un sacchetto di plastica e con un nastro adesivo che le ha avvolto la bocca. Quindi sarebbe morta dopo cinque ore di agonia.

Nella notte tra il 1 e il 2 giugno il corpo sarebbe stato trasferito nel bosco di Fonte Cupa, dove fu poi ritrovato il 3 giugno. E’ la ricostruzione dell’omicidio della 18enne di Arce, sostenuta dalle pm della procura di Cassino, Beatrice Siravo e Carmen Fusco, nel corso del processo davanti alla Corte d’Assise che si è concluso oggi. A compiere il delitto, sempre secondo tesi che la procura ha portato avanti in dibattimento, l’intera famiglia Mottola. Sarebbe stato Marco Mottola a spingere Serena contro la porta e poi sarebbero entrati in scena il padre e la madre, che dopo aver aiutato il figlio a portare a termine il delitto, avrebbero occultato il cadavere.

“Serena Mollicone uccisa in caserma, tutta la famiglia Mottola ha depistato”

Per suffragare la sua ricostruzione e in particolare dimostrare che la porta è l’arma del delitto, la procura di Cassino cita la superperizia di Cristina Cattaneo, medico legale che dirige il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università di Milano, decisiva per la riapertura delle indagini. “Il cranio di Serena Mollicone può aver creato quel buco nella porta? – si chiede in aula la Cattaneo – Assolutamente sì. L’arcata zigomatica di Serena combacia molto bene con la rottura nella porta”, ha aggiunto, tanto che “facendo la simulazione con i prototipi il cranio rimane incastrato”. ‘’Dopo aver risposto a questa domanda siamo andati avanti con le nostre analisi per verificare se ci fosse stato uno scambio di materiali tra la testa di Serena Mollicone e la porta”, spiega il medico legale.

Sul nastro adesivo che avvolgeva la testa di Serena Mollicone, in base alle attività scientifiche eseguite dal Ris dei carabinieri di Roma, sono state isolate tracce di legno, resina e vernice. Microframmenti, secondo le analisi, morfologicamente e chimicamente coerenti con il legno della porta e la caldaia sul balcone di un alloggio della caserma di Arce.

In sostanza, secondo la procura, ci sarebbe una ”perfetta compatibilità” tra le lesioni riportate dalla vittima e la rottura della porta collocata in caserma e “la perfetta compatibilità” tra i microframmenti rinvenuti sul nastro adesivo che avvolgeva il capo della vittima e il legno di quella porta e con il coperchio di una caldaia della caserma.

Il sucidio del brigadiere Santino Tuzi: l’unico che ha rotto il muro del silenzio

E a offrire riscontro alle analisi scientifiche, sempre secondo l’accusa, sono le dichiarazioni che il 28 marzo e il 9 aprile 2008 rese il brigadiere Santino Tuzi, in servizio nel 2001 ad Arce e morto suicida l’11 aprile del 2008. Il brigadiere disse di aver visto Serena Mollicone entrare in caserma la mattina del 1 giugno 2001 e di non averla più vista uscire. In aula le pm hanno ricordato un passaggio dell’interrogatorio del 28 marzo ”Tuzi – dicono – confermò di aver visto entrare in caserma Serena che indossava una maglietta rossa, leggins neri, scarponcini e una borsetta a tracolla a forma di parallelepipedo”. Tuzi disse di aver ricevuto una chiamata dagli alloggi, ‘deduco Marco Mottola, che mi informa che sta per arrivare una persona e di aprire il cancello. Ho aperto il cancello a una ragazza che aveva i capelli lisci ed era Serena Mollicone’, raccontò Tuzi’’.

Tuzi però poi si suicida. E secondo la procura il suicidio sarebbe in stretta relazione con le sue rivelazioni sull’omicidio Mollicone rese pochissimi giorni prima. ”Santino Tuzi si è suicidato perché lasciato solo da tutti quelli che sapevano la verità” ma anche perché ”sapeva”, dice la pm Beatrice Siravo durante il processo. ”Se Santino non si fosse suicidato, visto che nessuno confermava le sue dichiarazioni, sarebbe andato a giudizio per l’omicidio come è accaduto a Carmine Belli”, ha sostenuto. ”Vorrei riabilitare l’immagine di Santino – ha concluso – E’ stato l’unico che ha rotto il muro del silenzio e ha pagato con la vita le sue dichiarazioni”.

Al termine del processo quindi la procura avanza le sue richieste di pena: 30 anni per il maresciallo dei carabinieri Franco Mottola, 24 anni per il figlio Marco e 21 anni per la moglie Annamaria. L’accusa è di concorso in omicidio. Imputati nel dibattimento anche il maresciallo Vincenzo Quatrale, secondo la procura presente in caserma la mattina del 1 giugno, che è accusato di concorso nell’omicidio e per cui sono stati chiesti 15 anni, e l’appuntato Francesco Suprano, per cui la richiesta è di 4 anni per favoreggiamento.