Sgominato nell’operazione “Gialla e Nera” un clan rom che spadroneggiava su Roma da venti anni

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Questa mattina la Polizia di Stato e la Guardia di Finanza hanno eseguito, a Roma e provincia, un provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca emesso, ai sensi della normativa antimafia, dal Tribunale di Roma nell’operazione “Gialla e Nera”. Il provvedimento, eseguito dagli uomini della Divisione Anticrimine della Questura di Roma e del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Roma, nei confronti di esponenti di un’organizzazione criminale a base parentale, di etnia rom, stabilmente dedita a delitti contro la fede pubblica e il patrimonio, quali furti e rapine in abitazioni, truffe ai danni di anziani, riciclaggio di veicoli di lusso.

Sequestrati società, immobili e vetture di lusso

Previsto il sequestro della totalità delle quote sociali di 2 compagini e di un’impresa individuale con relativi complessi aziendali, operanti in Roma, nel commercio di veicoli e bar, nonché di 4 immobili a Tivoli, tra cui una villa di notevoli dimensioni già adibita a camera ardente per la salma del giovane morto; polizze di pegno, disponibilità finanziarie e 6 auto di elevato valore economico, quali una Porsche Cayenne, una Mercedes AMG A45 S ed una Lamborghini Gallardo. Quest’ultimo veicolo, attualmente, nella titolarità di un esponente di altro clan collegato, anch’egli di origine sinti e arrestato nell’ambito dell’omicidio di minorenne. Il valore complessivo dei beni in sequestro ammonta a circa 1,8 milioni di euro.

La banda proveniente dalla ex Jugoslavia e piazzatasi nel Lazio

Due, pur essendo certamente fratelli, riportano cognomi differenti in quanto il loro padre, dagli anni ’70 del secolo scorso e fino al primo decennio del XXI secolo, obbligava italiani a riconoscere la paternità dei figli dei componenti della banda, nati dall’unione di persone dell’ex Jugoslavia, affinché i bambini risultassero cittadini italiani, permettendo alle madri di richiedere i permessi di soggiorno per i ricongiungimenti familiari. I soggetti, rimasti illegalmente nel territorio italiano, grazie a documenti che ne attestavano falsamente la cittadinanza, si sono stabiliti prima nel basso Lazio e, successivamente, nella Capitale suddividendosi gli affari illeciti con altro clan sinti collegato.

Una vasta rete di affari illegali per il clan rom

Quest’ultimo, si dedicava al traffico di sostanze stupefacenti, mentre quello a cui appartengono i proposti a furti e rapine in Italia e alla fabbricazione di documenti falsi per circolare liberamente in Europa, con la possibilità di godere dei beni illeciti attraverso le fittizie intestazioni. Altra attività criminale, di rilievo transnazionale, appannaggio del clan, è il riciclaggio e la ricettazione di automobili di grossa cilindrata, provenienti dall’Italia e trovate in vari Paesi europei e in Arabia. Le indagini hanno evidenziato, con riguardo ai furti, alle truffe e alle rapine in appartamenti, l’organizzazione di vere e proprie trasferte criminali – con noleggio di autovetture mediante documenti falsi – soprattutto verso piccoli centri abitati della Calabria, della Basilicata e della Sicilia.

Derubavano gli anziani sottraendo i bancomat

Luoghi in cui, per lo più le donne del gruppo, si introducevano nelle abitazioni di anziani approfittando della momentanea distrazione delle stesse, con scuse e stratagemmi di varia natura, costituiti, quasi sempre, dal fingere che una di esse era in stato di gravidanza e aveva bisogno di utilizzare il bagno. A questo punto, mentre alcune malviventi, nel frattempo sopraggiunte, accerchiavano la vittima, altri complici si introducevano all’interno dell’appartamento per sottrarre oggetti preziosi, denaro, carte bancomat, carte di prelievo dei libretti postali, con i relativi Pin. Poi si allontanavano dal luogo del furto dirigendosi verso altri centri ove effettuavano prelievi di contante dagli sportelli Bancomat, utilizzando le Carte indebitamente sottratte alle persone offese.

Le truffe informatiche

Con riguardo, invece, alle truffe informatiche, le vittime, dopo aver pubblicato annunci di articoli in vendita sulla piattaforma e-commerce subito.it, venivano contattate da finti acquirenti, i quali proponevano loro, come modalità di pagamento, il c.d. prelievo S.O.S. (Servizio che in una situazione di emergenza permette ai correntisti di autorizzare soggetti terzi al prelievo di contante presso gli ATM) e le convincevano a recarsi presso ATM di alcuni Istituti di credito per ricevere l’accredito della somma pattuita. Una volta inserita la propria carta i malcapitati venivano istruiti telefonicamente a compiere alcune procedure, a seguito delle quali, anziché ricevere denaro, ricaricavano inconsapevolmente le carte Postepay dei malviventi.

Sistematicità e professionalità nelle condotte criminose

Dalle indagini è emersa la sistematicità e la professionalità delle condotte criminose, per la cui realizzazione il gruppo si avvaleva di numerosissimi intestatari fittizi per le utenze telefoniche e per le carte postepay, nonché di una schiera di giovani soggetti incaricati dei successivi prelievi presso gli sportelli ATM. I gregari, venivano telecomandati tramite le App di messaggistica, ricevendo indicazioni e screenshot delle carte da utilizzare che, in linguaggio convenzionale, indicate con i nomi Gialla e Nera, nonché dei pin da associare e delle somme da prelevare. Tale operatività, ripetuta anche nell’arco di poche ore e presso diversi sportelli, spesso abbinata all’intestazione allo stesso soggetto di più carte, ha consentito di movimentare volumi finanziari significativi.

Un appartenente al clan vittima di un incidente stradale sul Gra

Il clan già oggetto di clamore mediatico in seguito all’incidente stradale, accaduto la notte tra il 18 e il 19 luglio 2022, sul Grande Raccordo Anulare, nel corso del quale, al termine di una folle corsa a bordo di una costosa Audi R8, perse la vita il giovane figlio di uno degli uomini oggetto dell’indagine. Arrestata anche la madre, latitante, che deve scontare una pena di 5 anni per reati contro il patrimonio. Sulla base delle investigazioni economico patrimoniali il Tribunale ha ritenuto gli elementi per qualificare socialmente pericolosi due proposti, poiché con le loro condotte illecite avrebbero accumulato ingenti proventi, reinvestendoli in società esercenti attività di rivendita di veicoli e bar in Roma e nell’acquisizione di proprietà mobiliari, immobiliari e in polizze di pegno.

Un’attività che andava avanti dal almeno un ventennio

Da tali indagini, che hanno abbracciato l’arco temporale di oltre un ventennio, è emerso che essi, a fronte di un’assoluta sproporzione tra la complessiva situazione reddituale dichiarata e il patrimonio direttamente o indirettamente loro riconducibile, effettuavano importanti investimenti mobiliari, immobiliari e partecipazioni societarie, finanziati attraverso gli introiti derivanti dai predetti traffici illeciti, conducendo un elevato tenore di vita, assolutamente incompatibile con l’assenza di redditi dichiarati.