Si impicca Giuliana Sulejmanovic. Era la moglie di Serif Seferovic, coinvolto nella strage di via Salviati

Foto Roma Today. Una storia brutta, di emarginazione e di vendette. Iniziata malissimo, e finita nel peggiore dei modi. Si è impiccata ed è morta la 28 enne rom Giuliana Sulejmanovic, nel campo nomadi di Torino dove risiedeva. Da quando aveva abbandonato Roma, dopo la strage del 2017. Quando suo marito, Serif Seferovic, insieme al fratello e a un altro complice, aveva compiuto un gesto orribile. Dando fuoco alla baracca dei vicini, nel campo di Centocelle a via Salviati. Per una questione da 2 mila euro. Legata al diritto di dormire e ripararsi in una delle roulotte dell’insediamento. Soldi non dovuti, secondo i Seferovic. Da qui la lite furibonda con l’altra famiglia, quella degli Hailovic. Una vera faida, finita con una strage. Gli Hailovic infatti avevano 11 figli, ma solo otto si salvarono dalle fiamme. A perdere la vita furono le piccole Francesca e Angelica, di 4 e 8 anni. E la loro sorella maggiore Elisabeth, che di anni all’epoca dei fatti ne aveva 20. Ora Sarif è in carcere, e deve scontare 30 anni di pena. Mentre sua moglie per prudenza era stata fatta allontanare dalla Capitale. Ma evidentemente la donna no ha resistito ai ricordi e alla pressione. Togliendosi a sua volta la vita. E lasciando soli i suoi 4 figli ancora piccoli.

Giuliana Sulejmanovic non ha retto alla pressione e al dolore

Probabilmente non ha retto alla pressione e al dolore. Con quattro figli da crescere, e il marito condannato a 30 anni di carcere. Ma chissà, forse c’è dell’altro. Dietro al suicidio di Giuliana Sulejmanovic, a tre anni e mezzo da quella notte terribile. Quando la baracca dei vicini della sua famiglia era stata incendiata, nel campo rom di via Salviati a Roma. Una tragedia, frutto di una vendetta insensata.  Per un presunto debito di appena 2 mila euro. E adesso i fantasmi del passato sono ritornati a galla. Fino a spingere la donna a togliersi la vita. Saranno gli inquirenti a dover stabilire se si tratti solo di rimorso. O magari anche di paura, per qualche possibile rappresaglia. Resta però una realtà tristissima di mancata inclusione e di emarginazione sociale. Rispetto alla quale le istituzioni dovrebbero fare qualcosa di più che girarsi semplicemente dall’altra parte.