Sul Campidoglio una valanga di pignoramenti a sei zeri

In foto piazza del Campidoglio, a Roma

L’analisi della Corte dei Conti sui debiti fuori bilancio del Comune di Roma: pronti titoli esecutivi per oltre 30 milioni

Roma è una città dai mille problemi finanziari (vedi le nostre precedenti inchieste sui conti del Campidoglio 123) ed è soprattutto una città che fatica a riscuotere e che finisce per essere «riscossa». E non si tratta di una battuta.

Secondo quanto evidenziato dalla Corte dei Conti del Lazio nella deliberazione n. 122/2024, la Capitale si trova sommersa da pignoramenti che, nei fatti, rischiano di mettere in ginocchio la gestione finanziaria dell’Ente. Al 30 settembre 2024, data di riferimento dei giudici contabili, risultavano attivi 166 provvedimenti di riconoscimento di debiti fuori bilancio, per un ammontare complessivo superiore a 68 milioni di euro. Di questi, 29 risultano già approvati al momento dell’analisi contabile e pesano per 29,2 milioni, altri 107 sono invece predisposti ma restano in attesa di approvazione per un totale di 28,7 milioni, mentre 30 sono ancora in fase di elaborazione, per altri 10,2 milioni. Debiti che, come prassi insegna, si trasformeranno automaticamente in precetti prima e pignoramenti poi, che andranno ad aggredire le casse comunali mettendo in pericolo il cash flow.

Ma non finisce qui: a questi dati si aggiungono 22 provvedimenti per l’acquisizione di aree da destinare a opere pubbliche, che valgono da soli 52,4 milioni, parte dei quali in capo alla Gestione commissariale (guidata, comunque, sempre dal sindaco Roberto Gualtieri). La fotografia è quella di un’emorragia finanziaria silenziosa, che sottrae ossigeno al bilancio e paralizza la capacità operativa dell’amministrazione capitolina.

Una gestione disorganizzata e senza controllo

Il problema non è soltanto la mole di titoli esecutivi, ma l’assenza di una risposta sistemica. La Corte denuncia infatti l’inesistenza di un presidio gestionale che governi i flussi contenziosi. Dopo ogni sentenza esecutiva, non c’è un referente incaricato di gestire il pagamento, né una mappatura dei settori più esposti a queste dinamiche. Gli uffici si muovono senza coordinamento, come vascelli alla deriva. Le responsabilità sono spesso opache e la cultura della prevenzione sembra completamente assente. Il risultato? Un ciclo vizioso in cui ogni ritardo genera un nuovo debito, ogni debito un nuovo blocco amministrativo che comporta, a sua volta, per gli oneri accessori altre spese che vanno a decurtare le finanze che dovrebbero essere invece spese per servizi e beni collettivi. La Corte suggerisce da anni di individuare, per ciascun ambito, un responsabile funzionale specifico, ma questa indicazione continua a essere ignorata. E nel frattempo, i creditori premono, le risorse si assottigliano e la macchina amministrativa perde forza.

Pignoramenti illegittimi: il caso Poste Italiane

L’effetto di tale macroscopica e anarcoide disorganizzazione è presto detto. Benché la legge parli chiaro – i pignoramenti nei confronti degli enti locali possono avvenire esclusivamente presso l’istituto tesoriere – il Comune di Roma ha subito esecuzioni forzate anche su conti correnti postali, in aperta violazione dell’articolo 159 del Testo Unico degli Enti Locali, proprio perché non esistono mappe né responsabili dei procedimenti amministrativi legati ai pignoramenti. Poste Italiane, più volte diffidata dall’amministrazione capitolina, ha ignorato le comunicazioni ufficiali e proseguito nel blocco dei fondi, violando un principio giuridico fondamentale. A oggi, l’Avvocatura comunale è chiamata ad agire con decisione nei confronti del gruppo postale, al fine di tutelare non solo l’integrità delle finanze pubbliche ma anche l’autonomia amministrativa dell’ente, si raccomandano ancora i giudici di Viale Mazzini. Per la Corte dei Conti, questi episodi dimostrano una vulnerabilità grave del sistema contabile, che lascia il fianco scoperto ad abusi e pressioni indebite. Ogni esecuzione illegittima sottrae risorse che dovrebbero servire ai cittadini, ai servizi, alla città.

Necessità di una riforma strutturale

Il quadro complessivo impone una svolta decisa. Secondo la Corte dei Conti, Roma Capitale deve ripensare radicalmente la propria architettura gestionale. Serve una strategia integrata per la prevenzione del contenzioso, la gestione tempestiva dei pagamenti e il controllo rigoroso delle responsabilità interne. Ogni euro bloccato da un pignoramento è un euro sottratto a una scuola, a una strada, a un’infrastruttura. Il fenomeno dei debiti fuori bilancio, se non arginato, rischia di diventare la norma anziché l’eccezione. Occorre una governance chiara, con regole certe e presìdi efficaci. Serve, infine, una vigilanza continua sulle pratiche esecutive, per impedire che un errore procedurale spalanchi le porte a nuovi sequestri. La Corte lo dice con fermezza: senza una riforma amministrativa vera, non basteranno le correzioni spot. Roma deve tornare a essere padrona dei suoi conti, prima che i conti diventino padroni di Roma. E dei romani.