Totò Riina, il figlio pubblica un post di ricordo a un anno dalla morte: centinaia di elogi, “Grande uomo d’onore”
Totò Riina dipinto quasi come un santo. Sembra impossibile. Eppure, a leggere i commenti sotto il post scritto ieri dal figlio Salvo Riina, in occasione del settimo anniversario della morte del padre, sono decine e decine le persone che definisco come “un grande uomo”. Addirittura “Un esempio di umiltà e coraggio che non si è mai arreso. Un uomo sempre pronto ad aiutare il prossimo.Pochi come lui”.
Parole che stridono, e pure parecchio, con i fatti di cronaca. Con gli omicidi. Riina, lo ricordiamo, è morto in carcere, dove stava scontando 26 ergastoli. Dietro le sbarre ci era finalmente finito in quanto condannato per aver commesso – o fatto commettere – circa 150 omicidi. Tra i quali non si possono di certo dimenticare quelli dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, fatti saltare in due attentati insieme agli uomini delle scorte a maggio e luglio del 1992.
Totò Riina: in troppi lo rimpiangono
Quello che salta all’occhio vedendo il post del figlio sono i tanti commenti non solo di affetto, ma di quello che sembra essere ammirazione e rimpianto nei confronti di un uomo che, a conti fatti, ha seminato distruzione e dolore. Eppure tutto questo pare non avere importanza per chi scrive: “Una leggenda delle leggende, un padre e un uomo d’onore. riposa in pace Totò, amen”. O chi rincara, commentando: “L’ultimo degli uomini d’onore”. E chi avrebbe voluto incontrarlo: “Sarebbe stato un onore da parte mia potergli stringere la mano… ciao zio Totò”. E chi in modo inquietante scrive: “Grande uomo: lui faceva ciò che andava fatto. Massima stima per un uomo uomo, no babbucci come chi ci governa”.
Tralasciando tutti i “Riposa in pace”, i vari commenti che esaltano le doti criminali di Riina fanno davvero riflettere. E non arrivano solo dalla Sicilia, ma da varie parti d’Italia e non solo. Alcuni vengono postati infatti dalla Francia, dalla Germania, dalla Spagna e persino dall’America. Un tripudio internazionale.
Lo sdegno davanti agli elogi
Ma c’è chi, davanti a questi commenti, si ribella. “Stiamo parlando di un truce assassino. Di un mafioso”. “Altro che proteggici da lassù. Sta laggiù, all’inferno, dove merita di stare”. “Vergogna, la personificazione del male assoluto”, “Ha vissuto, vive e vivrà nella memoria di tutti quelli a cui ha distrutto la vita”.
“Ha vissuto e vivrà nella memoria di tutti i Siciliani per bene che mai scorderanno quanto vigliacco e criminale sia sempre stato”.
Chi era Totò Riina: il “Capo dei Capi” tra sangue e terrore
Ha attraversato quasi un secolo di storia, seminando morte e paura. Totò Riina, boss di Cosa nostra, è morto il 17 novembre 2017, il giorno dopo aver compiuto 87 anni. Dopo 24 anni di latitanza e altrettanti al regime del 41 bis, il “Capo dei Capi” non si è mai pentito, portando fino alla fine lo scettro del potere mafioso. Stava scontando 26 ergastoliper omicidi e stragi che hanno segnato l’Italia, da viale Lazio a Palermo fino agli attentati che hanno ucciso i giudici Falcone e Borsellino.
Da Corleone alla scalata del potere mafioso
Nato il 16 novembre 1930 a Corleone in una famiglia di contadini, Salvatore Riina inizia presto la sua carriera criminale. A 18 anni uccide un coetaneo durante una rissa e finisce in carcere per 12 anni. La svolta arriva con l’incontro con Luciano Liggio, che lo introduce a Cosa nostra. Piccolo di statura – appena 1,58 metri – si guadagna il soprannome di Totò ‘u Curtu, ma la sua ambizione è smisurata.
Dopo una pena scontata in parte, nel 1956 torna libero e si unisce al gruppo di fuoco di Liggio, diventandone presto il braccio destro. Insieme a Bernardo Provenzano, un altro corleonese, Riina avvia una sistematica eliminazione dei rivali. Nel 1969 partecipa alla strage di viale Lazio, uccidendo il boss Michele Cavataio e consolidando il suo potere all’interno della mafia.
Gli anni di sangue e dominio
Negli anni ’80, Riina e i suoi “viddani” – i contadini di Corleone – stravolgono gli equilibri della mafia, accumulando ricchezze con il traffico di droga, appalti e speculazioni edilizie. La conquista del potere passa attraverso omicidi politici e una lunga scia di sangue. Vengono uccisi uomini come Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia, e Pio La Torre, autore della legge contro il reato di associazione mafiosa.
I magistrati cadono sotto i colpi della mafia: Cesare Terranova, Gaetano Costa, Rocco Chinnici. Anche giornalisti come Mario Francese, investigatori come Boris Giuliano e persino il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa sono vittime del terrore imposto da Riina.
Nel 1987, viene condannato all’ergastolo in contumacia durante il maxiprocesso istruito dai giudici Falcone e Borsellino. La vendetta del boss è spietata: fa uccidere undici parenti del pentito Tommaso Buscetta e dà il via alla stagione delle stragi.
Le stragi del ’92 e la fine della latitanza
Nel 1992, Riina ordina gli attentati che segnano l’Italia: il 23 maggio uccide Giovanni Falcone, il 19 luglio tocca a Paolo Borsellino. Lo Stato risponde con forza, e la latitanza di Riina finisce il 15 gennaio 1993, quando i carabinieri lo arrestano a pochi passi dalla sua villa a Palermo.
Un potere mai spento, neanche dal carcere
Anche dietro le sbarre, Riina continua a essere una figura temuta. Le intercettazioni in carcere lo mostrano mentre si vanta delle stragi e minaccia magistrati, tra cui Nino Di Matteo, impegnato nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia.
La morte di Riina non ha posto fine alle ombre sul suo regno: troppe ancora le domande senza risposta, troppi i segreti che si è portato nella tomba. Ma una cosa è certa: il “Capo dei Capi” ha lasciato un’eredità di terrore che ha cambiato per sempre il volto dell’Italia.