Trovato morto nel B&B a Roma: è Alessio Lori, vice di Elvis Demce, aveva provato a vendicare “Diabolik”
È Alessio Lori, detto “Chiappa”, l’uomo trovato morto all’interno di un B&B in via Tripoli, nel quartiere Africano a Roma. Il 33enne ha scelto di togliersi la vita con un colpo di pistola in fronte. E proprio vista la modalità e la vittima, i carabinieri e il pm Francesco Cascini, inizialmente avevano ipotizzato un omicidio, ma le indagini hanno portato a un’altra verità: un suicidio. Lori, braccio destro del boss Elvis Demce, era un uomo senza più via d’uscita, intrappolato in una spirale di isolamento, pericolo e vendette mancate.
Chi era l’uomo trovato morto nel B&B
Alessio Lori era noto alle forze dell’ordine per un curriculum criminale di tutto rispetto: traffico di droga, estorsioni, armi e tentato omicidio. Condannato a 14 anni di carcere in primo grado per la sua partecipazione attiva nel traffico di droga, Lori aveva visto la pena ridotta in appello. Ma i guai non erano finiti: nell’estate del 2023, era stato nuovamente fermato per un caso legato allo spaccio. Il giudice lo aveva mandato ai domiciliari, una scelta che non solo non gli impediva di delinquere, ma lo lasciava esposto ai pericoli del suo mondo.
Perché non il carcere? Una domanda che pesa ora come un macigno, visto che proprio la paura di una vendetta potrebbe averlo spinto al gesto estremo.
Nonostante i legami familiari con due pentiti di spicco, Fabrizio e Simone Capogna, Lori aveva perso ogni appoggio. Isolato e in costante pericolo, a rischio di ritorsioni, era un uomo che non poteva fidarsi di nessuno. Ad agosto i carabinieri lo avevano arrestato. Il gip lo aveva messo ai domiciliari, ma Lori era evaso poco dopo, facendo perdere le sue tracce. Fino all’altra sera, quando è stato ritrovato senza vita.
I cugini pentiti e l’isolamento criminale
Uno dei colpi più duri per Lori è arrivato da dove forse meno se lo aspettava: la famiglia. I suoi cugini, Fabrizio e Simone Capogna, un tempo soci nello stesso gruppo criminale, avevano deciso di collaborare con la giustizia, rompendo i codici della malavita e condannando Lori a un isolamento definitivo. Un isolamento che si rifletteva anche nelle parole dei pentiti stessi: “Era forte nostro cugino… non si tirava mai indietro, ma non capiva niente di commercio,” dicevano i Capogna agli inquirenti.
Il suo passato da re dei reati di strada a Centocelle, fino alla gestione della piazza di spaccio di Tor Bella Monaca con Arben Zogu, non bastava più. Anche i suoi metodi spietati, come il rapimento di un pusher con tanto di pistola puntata alla tempia, erano diventati un lontano ricordo in un mondo che non perdona chi ha legami con collaboratori di giustizia.
La vendetta su Molisso: un piano fallito e fatale
Tra i motivi che hanno accelerato la discesa di Lori, spicca il piano per eliminare Giuseppe Molisso, figura centrale della camorra romana e ritenuto il mandante dell’omicidio di Fabrizio Piscitelli, alias “Diabolik”. Le chat criptate intercettate dagli inquirenti rivelano un mondo di rancore e vendette pianificate nei minimi dettagli. “Le infamità si pagano sempre”, scriveva Demce a Lori, coinvolgendolo direttamente nel progetto.
Ma come spesso accade, il piano andò in fumo. Gli investigatori avevano previsto tutto e smantellato l’operazione sul nascere. Il fallimento non solo lasciò Lori con il fardello dell’insuccesso, ma lo spinse ulteriormente verso un’esistenza precaria, fatta di paure e sospetti.
Pistola priva di matricola
La pistola accanto al corpo, priva di matricola e con un numero inciso sulla canna, racconta un frammento della sua fine, ma le indagini sono ancora in corso. Gli inquirenti stanno cercando di ricostruire l’ultimo mese di vita di Lori, un periodo in cui la solitudine e la pressione lo hanno probabilmente spinto verso il punto di rottura.