Visibilia, chiesto nuovo rinvio a giudizio per il ministro Daniela Santanchè

Daniela Santanché

Richiesto il rinvio a giudizio il ministro del Turismo Daniela Santanchè. E non è certo la prima volta. Il provvedimento arriva, su richiesta della Procura di Milano, per altre 16 persone, tra cui anche il compagno della senatrice di FdI Dimitri Kunz, la sorella Fiorella Garnero, la nipote Silvia Garnero e tre società, nell’ambito del filone dell’inchiesta per falso in bilancio sul caso Visibilia, gruppo fondato dalla Santanchè, ma da cui ha dismesso cariche e quote nel 2022.

Ma già c’è pendente sulla testa della senatrice di Fdl la presunta truffa aggravata all’Inps in merito all’indebita percezione della cassa integrazione Covid a zero ore per i 13 dipendenti di Visibilia Editore e Concessionaria, per la quale è stata fissata l’udienza preliminare per il 9 ottobre, insieme ad altre due persone.

L’ipotesi di reato

E oggi, per la seconda tranche, un’altra tegola, per le false comunicazioni sociali. La Procura, per questo nuovo filone, ha evidenziando una perdita del capitale sociale per Visibilia Editore, a partire dal bilancio 2016, per Visibilia Srl, a partire dal bilancio 2014 e per Visibilia Editrice, dal bilancio 2021. E la cosa grave è che, tra il 2014 e il 2022, la spa avrebbe avuto “perdite significative e risultati reddituali operativi negativi per milioni di euro“. E quando, nell’aprile scorso, il procuratore e i suoi sostituti hanno notificato la chiusura delle indagini, il ministro non ha, attraverso i suoi legali, chiesto di depositare memorie difensiva o di essere ascoltata.

Gli accertamenti erano stati svolti gli accertamenti dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf, coordinati dal procuratore aggiunto aggiunta Laura Pedio e dai pm Marina Gravina e Luigi Luzi.

Secondo l’ipotesi formulata alla conclusione delle indagini, gli indagati, tra cui la Santanché, avrebbero “con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, ciascuno in ragione delle cariche rivestite“, “consapevolmente” esposto dati falsi nei bilanci, per “conseguire per sé p per altri ingiusto profitto“, cioè la “prosecuzione dell’attività di impresa nascondendo al pubblico le perdite, evitando sia la necessaria costosa ricapitalizzazione sia la gestione meramente ‘conservativa‘”.